[10/04/2007] Monitor di Enrico Falqui

Cambiare i paradigmi, per un nuovo ambientalismo scientifico

Negli ultimi trent´anni,gran parte della cultura ambientalista italiana si è costruita attraverso un approccio " vincolistico" nei confronti dell´ambiente, valutando le trasformazioni indotte sul territorio dallo sviluppo economico e dalle innovazioni tecnologiche sulla base di standard e di soglie di accettabilità ecologica.
Ha prevalso una cultura "difensiva" nei confronti dello sviluppo economico e delle trasformazioni delle città, dimenticando che in Natura sono gli organismi che si adattano all´ambiente piuttosto che cercare di resistergli o cambiarlo. La difesa dell´ambiente è assicurata quindi, non solo dal fatto che le azioni di trasformazione indotte dall´uomo sull´ambiente devono tener conto dei fattori limitanti e della produttività biologica degli ecosistemi naturali, ma anche dal fatto che le risorse a disposizione delle comunità che popolano gli ecosistemi vengono mantenute e non sfruttate con intensità d´uso richieste dalla domanda economica e dalla pressione tecnologica.
In altre parole l´accresciuta sensibilità nei confronti dell´ambiente si è diffusa in Italia attraverso un´antropologia culturale propria della preoccupazione scaturita dalla nascita della città " fordista", nei primi anni del Novecento, quando si svolsero le prime conferenze internazionali di difesa della Natura e del Paesaggio.

Lo specchio di questa verità è fornito dalla legislazione italiana in materia di ambiente e paesaggio che rivela l´enfasi attribuita ad una visione che delega alle Autorità nazionali e locali il cosidetto potere di controllo ( legittimo e necessario, ovviamente , ma insufficiente ), che è esercitato assumendo gli standard ( ad es x metri quadri di verde urbano per abitante, y ettari di boschi e foreste protette...) e i valori di soglia come limiti di riferimento alla compatibilità ecologica delle trasformazioni dell´economia e del territorio.

Il fatto è che in ecologia questi standard e questi valori di soglia non hanno alcun significato e non misurano la sostenibilità reale degli ecosistemi naturali e del paesaggio rispetto a queste trasformazioni , né tanto meno la capacità degli stessi di adattarsi alla trasformazione progettata o di sviluppare un processo evolutivo capace di mantenere la diversità biologica dell´ambiente e la varietà del paesaggio.
Come afferma Gilles Clement,fondatore del manifesto del Terzo Paesaggio, la diversità non è finita; il numero, espresso attraverso le specie e i comportamenti in natura, aumenta o diminuisce in funzione delle modificazioni dell´ambiente.

Quando Patrick Geddes formulò la teoria del bio-regionalismo ( nel primo ventennio del Novecento) si preoccupò di sottolineare che l´urbanizzazione avrebbe dovuto seguire la logica dei fattori naturali e che lo sviluppo urbano avrebbe dovuto realizzarsi in perfetta coerenza con essi. Geddes sperimentò questa teoria nella direzione del Piano regolatore di Gerusalemme, a conclusione di un processo che aveva visto sorgere in Israele circa 270 "kibbutzim" , villaggi che ricordavano le idee e i progetti di Howard sulle " città giardino" inglesi.
Geddes si è reso in un certo senso anticipatore di un´idea straordinariamente moderna di sviluppo sostenibile della città, dove le nuove parti della città che si trasforma sorgono sulla base di criteri che rispettano il mantenimento delle risorse naturali e dell´energia libera necessaria per future trasformazioni della città, che migliorano e aumentano la produttività e la diversità biologica degli ecosistemi presenti nello spazio urbano e rurale.

In tempi più recenti, uno degli esponenti americani del " New Urbanism ", Peter Calthorpe ha riorganizzato la città di Portland (Oregon, USA) attraverso la progettazione e la ricomposizione di piccoli nuclei urbani, dotati di una loro "tasca pedonale" e di un " centro urbano" raggiungibile a piedi in dieci minuti. Calthorpe ha sviluppato dentro questo sistema urbano riorganizzato un sistema di mobilità tramviaria ed un sistema di mobilità intermodale ben organizzata al servizio dei cittadini in modo da ridurre del 40% il consumo energetico del sistema di mobilità urbana e del tasso di inquinamento atmosferico;ha aumentato del 15% la dotazione di spazi verdi della città secondo un disegno di reti e corridoi ecologici funzionale all´incremento di biodiversità dell´ambiente e del paesaggio urbano; ha trasformato i nodi principali del sistema pubblico di mobilità urbana in nuovi " poli attrattori dell´ interesse commerciale e culturale degli abitanti della città, facendo aumentare il valore degli immobili in queste aree ben servite dalla tramvia urbana.

In questi due esempi, uno antico e l´altro più recente, è contenuta una visione " attiva" ( non difensiva ) del rapporto tra sviluppo della città e trasformazioni sull´ambiente e sul paesaggio. In questa visione , il cosiddetto potere di controllo da parte delle Autorità locali non si esercita solo attraverso il rispetto di standard e valori di soglia fissati dalla legislazione nazione , bensì attraverso la valutazione della coerenza ecologica e paesaggistica tra Piano generale Urbanistico con gli specifici Progetti di trasformazione di parti strategiche e non della città.

In questi due esempi, si capisce come la partecipazione dei cittadini viene sollecitata non in una discussione sulla " difesa dell´ambiente e del paesaggio" rispetto alle trasformazioni proposte dalle Autorità Locali, bensì in una discussione " attiva" sulla necessità della trasformazione strategica della città e sulla gerarchia di importanza di quali siano i migliori progetti necessari perchè le trasformazioni urbane avvengano per ottenere obiettivi di miglioramento della qualità ambientale e sociale della città. Come afferma Baumann, questo tipo di partecipazione pubblica è utile alla comunità nel suo insieme, mentre se la dialettica e il conflitto di interessi sociali si sposta sul tema esclusivo della difesa " passiva " dell´ambiente e del paesaggio, esso corre il rischio di diventare non utile o, nel peggiore dei casi, espressione di un punto di vista parziale o minoritario della popolazione che partecipa al dibatitto sulle trasformazioni della città.

Quando Antonio Cederna scrisse " la distruzione della Natura in Italia" (1975) , libro che ha rappresentato per un´intera generazione di ambientalisti una sorta di vademecum contro gli scempi ambientali e del paesaggio commessi durante la fase di espansione accelerata dell´urbanizzazione in Italia ( 1960-1975), si preoccupava di criticare con eguale radicalità non solo le responsabilità politiche delle Autorità locali e dei centri di potere economici e speculativi che pianificavano il sacco delle città e del territorio del Bel Paese ma anche quella antropologia culturale divulgata dal mondo accademico dell´economia e dell´architettura che sosteneva la necessità di trasformare l´allora imponente patrimonio di territorio rurale in opportunità di rendita immobiliare e speculativa. Basta ricordare che all´epoca di quelle sagge " invettive" di Cederna, Astengo e Salzano, inascoltati capistipite dell´urbanistica italiana , sostenevano che la crescita espansiva della città (urban-sprawl) non era affatto finita , come sostenevano la maggior parte degli architetti italiani, ma che era iniziato un processo nuovo di frammentazione dello spazio e del paesaggio rurale sotto la spinta di una diffusione della città a macchia d´olio nell´agro-ecosistema rurale verso la progressiva costruzione della metropoli in ogni regione italiana.

Antonio Cederna aveva ben chiaro che le sue "invettive" contro l´urbanizzazione selvaggia del Bel paese ( in funzione di una difesa dell´ambiente e del paesaggio) non avevano alcuna possibilità di raggiungere i suoi nobili propositi, senza che una pianificazione e una progettazione attiva del territorio e della città sostituissero un modello "espansivo" con un modello "sostenibile di sviluppo della città del territorio”: “ ....non si tratta di piangere sul latte versato ........la denuncia del male compiuto da chi ha semidistrutto il bel Paese non è sufficiente, anche se appare come primo elementare, essenziale atto di conoscenza della situazione....perché le cose cambino si impone una drastica inversione delle tendenze urbanistiche in atto".

Il mio amico Cederna , chiedeva allora ciò che ancora oggi non è stato fatto , ovvero una riforma strutturale della legge urbanistica nazionale che , nonostante il muro di Berlino non ci sia più, nonostante l´Italia faccia parte di una Comunità europea comprensiva di 25 Stati, nonostante che l´Italia sia divenuta membro del Consiglio di sicurezza dell´Onu, governa il regime dei suoli e il potere della rendita fondiaria nonché il futuro delle metropoli e delle centinaia di borghi storici minori con una legge promulgata nel 1942.

E´ questo il vero scandalo politico ma soprattutto culturale di una classe dirigente dell´economia, degli Enti Locali,del mondo accademico e delle professioni che ha sempre rinunciato ( salvo l´infausto tentativo del Ministro Sullo) a riformare radicalmente ciò che oggi impedisce alle città italiane di realizzare quelle trasformazioni urbane che hanno reso mirabile e sostenibile lo sviluppo di tante città europee ( Barcellona, Bilbao, Siviglia, Valencia, Lisbona, Lione, Bordeaux , Tolosa, Marsiglia, Friburgo, Francoforte, Amburgo, Monaco...) e soprattutto hanno reso impossibile la tutela e il miglioramento parallelo e congiunto dell´ambiente e del paesaggio, costringendo ad accontentarsi delle legittime quanto velleitarie tenzoni di Monticchiello e di Fiesole , in difesa di un patrimonio storico-artistico-culturale e ambientale che sta inscritto nei cromosomi di tutte le popolazioni locali.

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