[10/04/2007] Comunicati

Global warming, una governance mondiale per passare ai fatti

LIVORNO. Apocalyps now. Potremo prendere in prestito il titolo di un famoso film di Francis Ford Coppola, per sintetizzare lo scenario descritto dal quarto rapporto Ipcc, messo a punto dagli esperti di oltre cento paesi riuniti sotto l´egida dell´Onu. Centinaia di milioni di persone a rischio di sopravvivenza, interi stati sommersi, estinzione del 30 per cento delle specie animali, riduzione dei grandi ghiacciai, crisi idrica globale. Dall’Artico all’Africa, dall’Europa all’Asia. Nessuno escluso, quindi, dall’appello che gli scienziati inviano alla politica. Tanto che la politica cerca il corner e prova a stemperare, con limature al testo, lo scenario che se non modificato da interventi subitanei e complessivi, porterà a costi umani ed economici proibitivi. Ma che nonostante il tentativo di frenata posto in essere dall’azione di Cina, Usa, Russia e Arabia Saudita, rimane di assoluta gravità.

Un tema da consiglio di sicurezza dell’Onu. Quale altra forma gerarchica se non questa potrebbe infatti riuscire a produrre una strategia globale in grado di arginare un futuro a tinte così funeree?

E dove altrimenti potrebbe organizzarsi quella governance planetaria ormai necessaria per contrastare questi effetti? Che nessuno ormai più mette in discussione, e che trovano semmai i pochi elementi di dubbio riguardo al fatto che vi sia una sola e completa responsabilità dell’uomo nell’averli innescati. Scenari che derivano da analisi e studi condotti proprio da un organismo che sta sotto l’egida dell’Onu. E che mettono in evidenza il fatto che oltre agli effetti ambientali previsti, i mutamenti climatici possono essere causa di nuove guerre, colpire gli approvvigionamenti energetici, spostare i confini e causare migrazioni di massa, acuire i conflitti sociali.

In effetti già prima che fosse reso noto il secondo capitolo del rapporto Ipcc è partita la proposta dalla Gran Bretagna di dedicare una seduta al dibattito sul clima il prossimo 17 aprile. Una iniziativa che pare non essere stata accolta con grande entusiasmo da Cina e Russia (tra i cinque membri permanenti con diritto di veto), ma che sembra invece aver convinto gli americani.

Il fatto che la proposta di far intervenire il consiglio di sicurezza delle nazioni unite sul problema del global warming, venga proprio da un paese europeo, può avere un significato importante. L’Europa ha infatti varato a marzo la strategia per contenere il surriscaldamento al di sotto dei 2 gradi, con la decisione unilaterale e vincolante di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20 per cento entro il 2020. Ma oltre alle risoluzioni volontarie dei vari paesi sarebbe necessario a questo punto che proprio da un organismo come le nazioni unite partisse una strategia per ridurre il gap che ormai esiste tra le conoscenze e l’analisi dei problemi e le decisioni politico-economiche necessarie per intervenire allo stesso livello.

Sono quattro i paesi europei che a titolo permanente o no siedono al tavolo del Consiglio di sicurezza dell´Onu e tra questi la Gran Bretagna per il mese di aprile detiene la presidenza di turno al Palazzo di Vetro. Francia e Regno Unito compaiono tra i cinque membri permanenti e per il biennio 2077-2008 Belgio e Italia fanno parte dei dieci non permanenti eletti tra i paesi aderenti all’Onu.

E se il consiglio di sicurezza delle nazioni Unite il 17 aprile varasse una risoluzione per una strategia comune per la lotta ai cambiamenti climatici, potrebbe semplificare anche il lavoro che il Cancelliere Angela Merkel, presidente di turno dell´Ue, al G8 di giugno, ha annunciato di voler svolgere. Ovvero convincere i colleghi dei paesi più ricchi - a partire dagli Usa - a seguire l´Europa nella lotta ai cambiamenti climatici, con l´obiettivo di raggiungere un accordo internazionale sul taglio del 30 per cento delle emissioni inquinanti entro il 2020, come strategia credibile per l´era post-Kyoto.

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