[30/03/2007] Comunicati

Entropia, botte piena e moglie ubriaca

LIVORNO. Oggi servono “nuove tecniche di comunicazione mirate a penetrare il territorio interpersonale ed emozionale del consumatore”; per combattere “l‘infedeltà critica verso i beni di consumo (commerciali, politici, culturali...) che ha spostato comportamenti e quindi economie”; è necessario quindi “Trasformare l’acquisto in un’esperienza di appagamento del visitatore del punto vendita”; per “penetrare lo spazio emotivo del consumatore”.

Frasi ritagliate dalla brochure di presentazione del master in action marketing and visual communication che a breve partirà all’accademia di Belle arti di Milano e che nasce più in generale da una macroesigenza: offerta in esubero e consumi saturi impongono alle aziende di avere tra le proprie risorse umane manager in grado di inventare nuovi bisogni nel consumatore. Ecco quindi il master giusto per creare i manager della brand espererience, e del marketing esperienziale. Non è certo una novità e non è certo l’unico master del genere in Italia: anzi potremmo dire che la brand experience è un po’ l’evoluzione del vecchio concetto di fidelizzazione, che trovava le sue armi migliori nelle card e nelle promozioni.

Del resto un paio di anni fa ho partecipato personalmente a una convention-workshop dedicata a questo tema (titolo: “Fidelizzazione, utopia raggiungibile?”) insieme ai manager di una trentina di aziende che sono stati “rinchiusi” in una sorta di eremo per “imparare” le nuove tecniche di coinvolgimento del cliente. Ebbene, il consulente che formava i manager e che nel suo sito si presenta come “Professionista nel campo della consulenza direzionale ed organizzativa ai livelli di comando e di struttura, nel potenziamento della leadership, nella motivazione e coesione di gruppi compositi subordinati e di vertice, esordì con la seguente frase: «Inutile e stupido continuare con le card perché gli imbecilli ormai sono finiti».

Gli imbecilli ovviamente eravamo noi consumatori. Che essendo ora diventati più intelligenti (?) devono essere “catturati” con tecniche nuove che creino appunto, bisogni nuovi.

Una riflessione del genere letta dal punto di vista dei consumatori e incrociata alle “mode” del biologico e del consumo equo e solidale fa pensare a piccoli scudi di cartone davanti a un esercito. Ma guardando la cosa non dal punto di vista della “preda”, tutto sommato questa branchia del marketing potrebbe anche apparire assai intrigante soprattutto professionalmente.

Dipende dal punto di vista del momento, appunto, come sempre. Ma potremmo anche fare un passo in più e associare senza alcuno sforzo la tematica del consumerismo nei mercati saturi quale il nostro a quello dei rifiuti. I rifiuti, è bene ricordarlo, sono merci o beni che buttiamo via perché non servono più, e spesso perché non sono mai serviti. E guardacaso la produzione dei rifiuti cresce di anno in anno, senza quasi soluzione di continuità. Il secondo principio della termodinamica non è uno slogan.

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