[20/03/2007] Aria

Ciro Pesacane: «Ho paura del mercato che si muove nelle questioni ambientali»

LIVORNO. L’esigenza di ridurre le emissioni di gas responsabili del surriscaldamento del pianeta, sta creando un vero e proprio mercato delle emissioni, che sancisce in qualche modo la mercificazione di beni indisponibili.
Una svolta che potrebbe essere storica e quindi che ha bisogno di essere metabolizzata anche nel mondo ambientalista. Perché potrebbe essere letta come un necessario e inevitabile passaggio per indurre il mercato ad azioni di mitigazioni altrimenti impossibili da imporre in altro modo. Oppure come un ulteriore svendita di beni comuni. Abbiamo posto queste stesse domande fatte a Massimo Scalia anche a Ciro Pesacane, leader del forum nazionale ambientalista, che è più spostato sulla seconda ipotesi, ovvero quella di una svendita dei beni comuni.

«E’ pericoloso quello che sta accadendo negli Usa e dovrebbe cominciare a farci preoccupare, non è certo quello degli americani un popolo di ambientalisti. Dietro al loro impegno per l’ambiente c’è ancora il sistema del capitalismo. Quindi anche quando guardano con attenzione all’ambiente, non lo fanno con l’obiettivo di puntare su un meccanismo economico alternativo, ma perché il settore ambientale renderà un sacco di soldi. E questo vale non solo sulla questione emissioni, ma anche su altri settori.
La questione ambientale a mio avviso, non va considerata importante economicamente, ma drammatica per il pianeta».

Ma se il capitale si muove, non lo si può utilizzare ai fini ambientali?
«Dobbiamo uscire dagli schemi classici dell’economia. E una nuova economia basata sulla questione ambientale, sulla solidarietà sociale, sulla equità ecc. non la può fare il capitale da solo. Perché questo significa che l’economia, ovvero le multinazionali potrebbero buttarsi nell’economia alternativa per fare business partendo proprio dal riparare gli scempi che loro stessi hanno fatto. Se il capitale investe sulle politiche di risanamento ambientale, non lo fa per niente, ma per poter avere ancora una volta il controllo».

E qual è allora l’alternativa?
«Una via alternativa è che gli Stati investano fortemente su questo. Se non facciamo una politica ambientale seria non ne usciamo. Ci vuole un grande piano Marshall, fatto dal pubblico. L’Europa, gli Usa, devono cominciare a pensare un grande piano ambientale e sociale. Io ho paura del mercato che si muove nelle questioni ambientali. Il controllo delle fonti fossili e dell’acqua è una strada maestra su cui le multinazionali hanno cercato e cercano di puntare e questo ha prodotto guerre».

Ma neanche se vi fosse una governance globale che detta le regole?
«Io non mi fido perché sono loro che hanno determinato i problemi».

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