[16/03/2007] Comunicati

Zanchini: Partecipazione e trasparenza devono stare insieme alla capacità di decisione

LIVORNO. Sul caso del progetto di impianto eolico off-shore davanti alle coste del Molise, che ieri ha provocato le “dimissioni” di Massimo Serafini dal Manifesto (che oggi pubblica la sua lettera al quotidiano con le motivazioni anticipate ieri in un´intervista a greenreport), interviene anche Edoardo Zanchini della segreteria nazionale di Legambiente.

In questa vicenda, che ha visto sulle stesse posizioni il ministro Di Pietro, il presidente forzista della Regione Di Iorio, sindaci e comitati, e ha portato alla bocciatura del progetto di 54 torri al largo di Termoli, Legambiente in piena solitudine ha provato a ragionare sul progetto, ma oramai era troppo tardi e gli spazi di manovra saltati.

Zanchini parte da questa vicenda per riflettere non solo sulle conseguenze che questo potrà avere sulla politica energetica ma anche su come evitare che situazioni del genere possano ripresentarsi (e che di fatto si presentano) ogni volta si deve decidere di realizzare un intervento sul territorio.

«Questa vicenda pesa come un macigno sul futuro di una politica energetica sostenibile nel nostro paese e mostra ancora una volta tutti i limiti di un idea per cui cavalcare la protesta è sempre e comunque un occasione e un espressione di democrazia dal basso» dice Zanchini. E propone che in Italia si preveda di mettere in atto un sistema di concertazione sul modello francese di debat public «oggi obbligatorio per tutti gli impianti - tanto per una autostrada come per un impianto eolico - e impone di confrontarsi con il territorio sul merito del progetto e sullo scenario che gli interventi andrebbero ad aprire».

Ma un processo di questo genere ha un senso se il percorso ha alla base una strategia: ovvero parte da un obiettivo, valuta quale sia il progetto idoneo a raggiungerlo, discute nel merito e poi arriva a sintesi. Cosa che invece non accade nel nostro paese, in cui ciò che si fa è sempre più spesso la risultante tra localismo, populismo, decisionismo mescolati tra di loro in quote non per forza dello stesso peso.

Abbiamo riproposto questa riflessione a Zanchini
«Il motivo per cui c’è una accelerazione e una moltiplicazione di comitati e sindromi nimby è perché siamo passati da un modello in cui alla fine era lo stato a realizzare le opere o comunque a farsi da garante rispetto a gruppi che erano riconducibili allo stato, ad una liberalizzazione in cui sono attori privati che si muovono senza che però vi sia un quadro di regole che permetta a tutti di essere informati sui progetti, sulla politica entro cui si muovono e quindi alla fine ad avere un processo che funziona».

E alla fine il risultato non risponde ad alcun disegno progettuale?
«La situazione attuale è tale che è la forza del promotore che porta a un risultato. La decisone politica è la somma delle diverse spinte e della loro forza, per cui a Civitavecchia si farà la centrale a carbone e invece si bloccano gli impianti eolici in giro per l’Italia. Ma il filo comune tra tutti questi procedimenti è dato dal fatto che non c’è nessuna garanzia per i cittadini di essere informati sul percorso. Il punto è oggi che la valutazione di impatto ambientale (Via) non serve a nulla se non incrocia le preoccupazioni dei cittadini e quindi è aperta al confronto con il territorio. La Via deve servire a migliorare un progetto, a ridurne l’impatto oppure a cancellarlo ma attraverso il confronto con il territorio e non per l’operato di tecnici chiusi in una stanza che rispondono all’assessore o al ministro di riferimento».

Quindi la Via è una sorta di foglia di fico?
«E’ così e, dispiace dirlo, anche la riforma di Via e Vas (valutazione ambientale strategica ndr) presentata dalla commissione Turroni (incaricata di scrivere la revisione del codice ambientale, ndr) non fa fare alcun passo in avanti rispetto a questi aspetti. Legambiente ha proposto di introdurre il dibattito pubblico come il Francia, ma purtroppo l’informazione e la partecipazione dei cittadini rimarrà come è oggi, pari a zero».

Quindi è difficile prevedere qualche cambiamento in futuro?
«Servirebbe un processo più trasparente, necessario non solo a bloccare le opere sbagliate perché aumentano le emissioni di Co2 o il traffico, ma perché rafforza anche le ragioni dei progetti che consentono un cambiamento nel modo in cui l’Italia produce la propria energia, nella mobilità, nella gestione degli impianti industriali. In poche parole è condizione indispensabile per cambiare le cose».

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