[17/02/2006] Consumo

Massimo Scalia: l´ambientalismo scientifico non ha bisogno di nuove ideologie

ROMA. Massimo Scalia (nella foto) è un ambientalista storico, ex deputato dei verdi, ex presidente della commissione parlamentare d´inchiesta sul ciclo dei rifiuti, membro del comitato scientifico di Legambiente, autore, insieme a Gianni Mattioli, di moltissime pubblicazioni e testi ambientalisti. Attualmente è docente al dipartimento di Matematica dell´Università La Sapienza di Roma ed è stato tra i primi firmatari del Movimento ecologista.

La crescita economica è sempre stata un obiettivo indiscutibile e intoccabile, anche per le sinistre. Non le pare strano?
«Non è affatto strano ed è inevitabile che sia così: fin dalle sue origini la sinistra e anche il suo padre teorico celebra i fasti della produzione consumatrice e del consumo produttivo. Basta andarsi a rileggere nel sesto libro “inedito” del Capitale, tra le altre cose, l’inno entusiasta di Marx al “consumo produttivo” e alla “produzione consumatrice”. Un must a cui anche oggi il coro unito dei leader di partito dà la stessa risposta: “Per superare la crisi e rilanciare l’economia bisogna rilanciare i consumi, anche quelli individuali”. E questo è proprio in antitesi col pensiero ecologista. Eppure alla fine del 700 Malthus aveva posto il problema della limitatezza delle risorse a fronte della crescita in progressione geometrica della popolazione!».

Ultimamente però una parte della sinistra mette in discussione sia il concetto che la prassi della crescita?
«Ultimamente? Per fortuna è ormai dai primi anni 60 che è nato l’ambientalismo scientifico con Rachel Carson e kenneth Building, che per primo ha sviluppato una critica feroce e ironica al concetto di Pil. Praticamente ha messo a confronto l’economia del cowboy, dove non esistono limiti di risorse, con l’economia della navicella spaziale, dove invece le risorse devono essere amministrate con intelligenza e oculatezza perché ogni minimo intervento mette a repentaglio la vita degli abitanti.
Poi fu la volta della Giornata della Terra, che fu celebrata per la prima volta il 22 aprile del 1970 e che ogni tanto, come 3 anni fa, qualcuno si ricorda di ritirare fuori anche ai giorni nostri. Da lì è iniziata la rotta di collisione fra economia ed ecologia e subito dopo l’ambientalismo scientifico ha cominciato a dare fondamenti specifici alla possibilità di costruire basi teoriche di uno sviluppo che non consumasse la terra, cercò di formulare e applicare le leggi della termodinamica all’economica.
Per questo mi sembra che l’attuale dibattito sulla decrescita sia un po’ fatuo, cosa deve dire di più di quanto ha detto negli ultimi 40 anni la cultura ambientalista?
Non vorrei che siccome ora è venuto fuori un sociologo di moda (Serge Latouche, ndr) che ha tirato fuori la parola magica, tutti si impastano la bocca con la decrescita. Comunque via, non la posso dipingere tutta nera: negli ultimi 10 anni qualche economista ha cominciato a interessarsi alle dinamiche di settore, anche se gli economisti classici sono ancora la grande maggioranza».

Qualche anno fa si pensava che con l’avvento della società e dell’economia dell’informazione ci stessimo avviando verso una “dematerializzazione” delle produzioni e dei consumi e quindi, inerzialmente, verso la sostenibilità ambientale.
«Questa ipotesi è del 1979, fu estremamente interessante perché colse ai suoi primi passi questa tendenza al disaccoppiamento che è visibilissima. Gli sviluppisti sostenevano e sostengono tuttora che per sostenere la crescita economica è necessario che l’energia cresca almeno come il Pil. Questo tasso chiamato di elasticità che doveva essere uguale a 1 negli ultimi 30 anni in America è stato dello 0,25: in realtà quindi da una parte c’è stata una crescita mostruosa del Pil, dall’altra i consumi energetici sono cresciuti con ritmi molto più blandi.
Un ragionamento analogo si può fare per India e Cina, dove l’elasticità è stata inferiore a 0,5. Mi sembra che si possa confermare una grossa tendenza al disaccoppiamento in tutti i paesi competitivi, perché i consumi energetici sono indifferenti alla crescita del Pil. Detto questo è vero che oggi scrivere una lettera per e-mail è un grandissimo vantaggio per tutti, per chi scrive, per chi la riceve, per l’ambiente e per l’informazione, che oggi viaggia molto più della materia».

Questa dialettica è presente anche nel programma dell’Unione (Tav, Ponte sullo stretto, grandi opere ecc…) e contraddistingue il confronto/conflitto fra le forze di sinistra anche a livello territoriale (vedi questione rifiuti e inceneritori): qual è, secondo Lei, la bussola di un ambientalismo di governo?
«Spesso si tratta soprattutto di questioni mal poste. Il ponte sullo stretto per esempio, non ci crede nessuno che verrà fatto, quindi è inutile tutto questo verbalismo che gli si fa intorno, anche perché non serve a nulla ed esistono molti altri piani alternativi di trasporto, elaborati da Trenitalia e da altri.
Un altro esempio emblematico è l’inceneritore che dovrebbe essere costruito ad Acerra e contro il quale si scagliano quotidianamente tutti senza sapere niente. Nessuno infatti è andato a vedere cosa ha detto la commissione aggiudicatrice dell’appalto nella fase di gara, che era tutta imperniata sulla frase “minimo costo per la collettività”. L’aspetto economico era preponderante ma la commissione doveva dare anche un voto per la tecnologia: all’impresa che ha vinto è stato assegnato un 4,2 in tecnologia, e alla cordata giunta seconda, quella dove c’era anche Enel, ha preso ben 8,2. Ecco, questi sono i fatti concreti che avrebbe dovuto denunciare la sinistra riformista antagonista comunista e compagnia bella. E invece no, tutti a strapparsi demenzialmente le vesti per ogni inceneritore, a prescindere, sempre e comunque. Anche se in Italia esistono aree ben più a rischio rispetto a quello che può fare un misero inceneritore».

Quindi lei non chiude alla termovalorizzazione.
«A parte il fatto che secondo me sarebbe più giusto parlare di termodistruzione, è chiaro che questa deve essere una soluzione che arriva dopo la riduzione dei rifiuti e dopo le raccolte differenziate, ma soprattutto nel sud servono per non fare vivere le camorre che si sostengono con le discariche. Ovviamente poi i termovalorizzatori devono essere costruiti con il coinvolgimento della popolazione, devono essere tecnologicamente avanzati per controllare le emissioni, deve essere quindi fatto l’esatto opposto di quello che stanno facendo ad Acerra, ma la mia speranza è che ora che ci si è messo in mezzo anche Bertolaso, riescano a farsi buttar fuori dalla Campania il prima possibile».

Ma insomma secondo Lei la decrescita è un obiettivo da perseguire o no?
«Crescita, decrescita, controlli, grandi opere… a me pare che ormai queste siano diventate ideologie che hanno ben poco a che fare con i problemi concreti e con l’ambientalismo scientifico. Purtroppo Berlusconi ci ha rovinato anche internamente e ci ha contagiato negli atteggiamenti da avanspettacolo, perché lo strillo è diventata norma anche a sinistra. Forse sarò invecchiato o forse perché non siamo riusciti a fare la rivoluzione, ma non ho proprio più simpatia per questo verbalismo parolaio, che oggi ha preso la parola decrescita e l’ha trasformata in un grande movimento a livello mondiale, come se fosse l’ultimo arrivo all’enviroment shopping center. Francamente per chi lo studia da trent’anni questo dibattito innescato da Latouche sembra un pagliacciata, perché nessuno guarda alla ciccia e ai problemi concreti. Sono anni che Mattioli ed io facciamo proposte economiche sulla sostenibilità, non trovo proprio nulla di nuovo in Latouche».

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