[06/03/2007] Aria

Nanopolveri, il traffico delle auto incide per il 60%

FIRENZE. “Nanopolveri e nanopatologie. Evidenze scientifiche e conseguenze politiche”, questo il titolo dell’interessante seminario organizzato da Legambiente Toscana che si è tenuto nei giorni scorsi. L’argomento, ostico, è spesso trattato con superficialità utilizzando dati e terminologia ai fini della validazione di tesi non sempre scientificamente attendibili. «Siamo noi, in Italia, ad aver coniato questi termini - afferma Roberto Gori, direttore tecnico dell’Arpat - non esiste una definizione precisa per le polveri ultrafini (quelle sotto 0,1 micron) ma quello che più conta è che non c’è un sistema codificato di prelievo e di misura e ci si muove ancora nel campo sperimentale. Cosa diversa sono le polveri sottili PM10 e PM2,5 di cui si conosce molto anche se la materia è complessa. In Toscana ci sono 72 stazioni chimiche di monitoraggio (50 per le polveri) e si producono 3 milioni di dati».

Gori si sofferma sulle maggiori sorgenti di PM10 in Toscana: «Derivano principalmente dalle combustioni per ottenere energia, quindi per il riscaldamento domestico e per i processi industriali. Influiscono molto anche i trasporti stradali e gli altri tipi di trasporti. Vi sono differenze ovvie tra città e città a seconda di quali attività sono più sviluppate, ma incidono anche le condizioni climatiche».

Il direttore tecnico di Arpat riporta poi i pochi dati sperimentali disponibili sulle sorgenti di PM0,1, citando studi inglesi ed americani. «In uno studio di Harrison (del 2000), mentre per il PM10 i trasporti stradali incidono per il 25%, per il PM0,1 la percentuale sale al 60% ed analogie ci sono con studi effettuati in California. La combustione dei rifiuti incide per 1-2%. Noi come Arpat dobbiamo supportare le decisioni politiche - conclude Gori- sapendo di non poter dare certezze assolute, ma certezze metodologiche come si opera nell’analisi del rischio che riguarda la salute umana».

Gli aspetti epidemiologici e sanitari della materia sono stati trattati da Eva Buiatti (Agenzia regionale sanità della Regione). «Di polveri ultrafini si parla nell’utilizzo delle nanotecnologie in campo farmaceutico e cosmetico con introduzione, ad esempio, di principi attivi nel corpo umano - introduce Buiatti - Si sono registrati problemi per i lavoratori di quei comparti e per i consumatori. In Italia non c’è dibattito su questo argomento perché è poco presente questo tipo di industria. Invece si parla di particelle ultrafini e delle relative patologie, come effetto secondario derivanti da altre attività» (il neologismo nanopatologie è termine usato ed abusato ma non ha riscontro scientifico, ndr).

Eva Buiatti ha spiegato come i dati epidemiologici a disposizione siano pochi e spesso contrastanti tra loro, anche perché è quasi impossibile separare le polveri ultrafini dalle altre. Ci sono studi sperimentali sulla relazione tra dimensione delle particelle e alcune patologie acute e sul destino delle polveri ultrafini nell’organismo umano «hanno maggior capacità di penetrazione, arrivano fino all’alveolo polmonare. Possono poi passare nel sangue e nelle cellule. Ma anche le polveri di maggior dimensioni nell’organismo possono essere metabolizzate ed entrare nella membrana cellulare. «Importante è conoscere - spiega Buiatti- la composizione chimica di queste polveri per capire gli effetti all’interno dell’organismo».

L’epidemiologa ha invece ribadito come per le polveri (PM10 e PM2,5) sia disponibile una letteratura immensa anche in relazione agli effetti sulla salute umana per patologie croniche (tumori) e per quelle con esposizione a periodi più brevi (broncopolmonari, cardiocircolatorie) «sono questioni di rilevanza sanitaria non tanto per il rischio elevato di contrarle ma per la dimensione di popolazione esposta».

Buiatti si è poi soffermata sulla questione inceneritori. «Per le patologie oncologiche ci sono studi (qualcuno fatto anche su San Donnino) su inceneritori attivi nei primi anni ’80. Quindi si tratta di vecchi impianti. Non ci sono dati su nuovi impianti bisognerà aspettare qualche anno (una ventina, ndr). Invece per gli effetti di breve periodo di alcuni inquinanti come le diossine, che avevano destato fondate preoccupazioni nei decenni passati, oggi i rischi sono molto più bassi».

Buiatti ha accennato alla complessiva esposizione di una persona alle polveri e alla necessità di abbassare questa esposizione intervenendo sulle fonti principali e su quelle dove si riesce ad agire in modo più incisivo. «Per quanto riguarda la Toscana e anche Firenze ci sono vari studi che mettono in relazione la qualità dell’aria ad alcune patologie respiratorie e cardiocircolatorie e i risultati danno elemento di conferma per il rischio: sicuramente abbassando le polveri risparmio patologie».

Per quanto riguarda il territorio dove sorgerà il nuovo impianto di Case Passerini, sono stati fatti studi su alcune patologie presenti correlabili alla qualità dell’aria e vi è la conferma, almeno per alcune strade, di una maggior incidenza.
Del resto in quell’area le pressioni ambientali sono molto alte. L’aggiunta dell’impianto farebbe aumentare il rischio in modo infinitesimo, ma si deve comunque intervenire con meccanismi di compensazione.

Eva Buiatti conclude sulle priorità da dare alla ricerca in tema di polveri ultrafini: «è necessario un miglior dimensionamento dell’esposizione, misurare il numero (più che il peso) delle particelle in rapporto alla dose interna e approfondire sulla composizione chimica delle molecole. Questi potrebbero essere interessanti filoni di ricerca».

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