[27/02/2007] Consumo

Gli invasori in tavola

ROMA. Per la Fao gli invasori sono tra noi, «si nascondono sotto il nostro naso. Nelle nostre città. Tra le nostre mura. Ed anche dentro i nostri frigoriferi. Alcuni si sono installati da diversi anni, altri sono dei nuovi venuti».

Non stiamo parlando di extraterresti ma di prodotti come i pomodori portati centinaia di anni fa dall’America in Europa e che oggi sono un alimento base per milioni di persone. Mais, caffé, pomodori, canna da zucchero, tacchini, mucche, montoni… sono stati tutti portati da una parte all’altra del Mondo, per essere coltivati e allevati e da invasori sono divenuti una presenza familiare, non sono più stranieri ai nostri occhi.

La colonizzazione dei nostri supermercati da parte degli invasori prosegue a ritmi sostenuti. L’ultima ondata, equipaggiata di pinne, pelle scintillante ed occhi prominenti, somiglia molto più agli extraterrestri di un pomodoro, ma si tratta di pesci. La pescicoltura sceglie sempre di più specie esotiche di molluschi, crostacei e pesci a forte accrescimento, più resistenti e più facili da allevare: in 15 anni la tilapia africana è passata da curiosità locale ad un pesce che si trova anche sui mercati degli uUsa o del nord Europa ed in alcune aree dell’Asia questo pesce africano è diventato una fonte di sostentamento essenziale per i contadini poveri.

«Non solamente questo pesce piace a tutti – spiega Devin Bartley del dipartimento pesca della Fao – ma in tutto il Mondo può essere allevato facilmente e sembra avere pochi impatti negativi sull’ambiente».

Un altro esempio ci riporta a metà degli anni ’80: in Cile gli acquacoltori hanno introdotto il salmone del Pacifico e dell’Atlantico che è diventato una industria prospera, facendo del paese sudamericano il primo produttore mondiale di salmone da allevamento, per un valore di 600 milioni di dollari annui.

Ma le specie esotiche non si comportano sempre bene nei loro nuovi habitat, possono anche avere conseguenze disastrose, provocando anche perdite economiche notevoli e grandi danni ambientali.
Il vorace pesce persico del Nilo, introdotto nel lago Vittoria negli anni ‘50, ha provocato l’estinzione di centinaia di specie autoctone, anche se è diventato una importante risorsa economica per le popolazioni rivierasche che lo esportano in Europa ricavando 170 milioni di euro all’anno.

Un altro esempio è la lumaca Pomacea canaliculata, introdotta nelle Filippine ed in altri paesi asiatici agli inizi degli anni ’80, facile da allevare e a riproduzione rapida, ha un alto tenore di proteine che ne farebbero un complemento essenziale di un’alimentazione locale povera ed un eccellente prodotto da esportazione, ma purtroppo non piace ai consumatori, il risultato è che si riproduce senza freni nelle risaie irrigue, devastando migliaia di ettari di giovani piante.

Nuove specie ittiche possono essere anche portatrici di nuove malattie per le quali gli stocks indigeni non hanno sviluppato resistenze, come è successo agli inizi degli anni ’90 a Taiwan, dove l’allevamento di gamberetti è stato praticamente annientato.
Esistono anche altri esempi d’invasori che cambiano habitat, che competono con le specie locali o se ne nutrono, oppure che si incrociano con specie apparentate, provocando inquinamento genetico, come nel caso di introduzioni a scopo venatorio di pernici in Italia.

Durante gli anni 80, le introduzioni sulle lunghe distanze di specie di pesci in nuovi hasbitat per la pescicoltura sono diventate sempre più normali e la Fao ha cominciato ad interessarsene da vicino, ma l’organizzazione Onu per lungo tempo ha seguito esclusivamente le circa 1300 specie di acqua dolce, ma la crescente domanda di pesce e l’allevamento di altre specie e a Fao comincia a raccogliere informazioni sui pesci di mare ed i crostacei e molluschi.

L’Organizzazione ha recentemente esteso la sua azione all’introduzione dei prodotti dell’acquacoltura e ha raccolto dati su più di 5 mila impianti e centinaia di specie, studi che sono in gran parte finanziati dal budget ordinario della Fao, dal Progetto FishCode e che hanno un sostegno vitale da parte dell’Olanda, basato sul programma di partenariato Fao-Nederland.
La banca dati è disponibile su un Cd-rom, e per ogni specie introdotta ci sono informazioni sui siti, le date di introduzione, le eventuali conseguenze positive e negative.

«L’idea consiste nel far prendere coscienza dei vantaggi e degli svantaggi e dei rischi che comporta l’introduzione di una specie in una certa zona – dice Bartley - ed anche le norme internazionali che regolano queste introduzioni, al fine di evitare di commettere errori e di prendere buone decisioni in un quadro legale. Tutte le introduzioni devono essere preceduti da un’analisi rischi/benefici secondo il principio di precauzione. E noi intendiamo contribuire grazie a questo Cd-rom».

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