[26/02/2007] Consumo

Ciafani: «La chimica può rilanciarsi cogliendo le opportunità della normativa ambientale»

LIVORNO. Domani mattina a Roma, alla sala del seminario a palazzo San Macuto, Legambiente ha organizzato un convegno, in cui presenterà i dati inediti del monitoraggio sulle emissioni di mercurio in atmosfera degli impianti cloro-soda. Un monitoraggio svolto nell’ambito della campagna internazionale Zero Mercury, curata in Italia da Legambiente che si pone come obiettivo la riconversione in tempi brevi alla tecnologia a membrana, per questi impianti, valutata come molto più efficiente sotto il punto di vista energetico e di gran lunga meno inquinante delle obsolete celle al mercurio.

Gli impianti passati al setaccio dall’associazione ambientalista sono quelli che, per la produzione di prodotti chimici inorganici di base, utilizzano ancora membrane a mercurio. In pratica quasi tutti tranne quello di Assemini (CA), che ha messo a punto tecnologie avanzate che non utilizzano mercurio.

Tecnologie a cui Legambiente chiede che vengano riconvertiti tutti gli impianti.
Per questo l’associazione rivolge ai ministri dell’Ambiente, dello Sviluppo economico e della Salute e alla conferenza Stato-Regioni di concludere presto l’iter di approvazione delle “Linee guida per l’identificazione delle migliori tecniche disponibili per gli impianti di produzione di Cloro-alcali”. Solo dopo questa approvazione definitiva infatti si potranno rilasciare le nuove “Autorizzazioni integrate ambientali”, secondo quanto previsto dalla Direttiva Ippc, e si stabilirà la data ultima per la dismissione delle celle al mercurio in ciascun impianto, che Legambiente auspica possa avvenire entro il 2010, e cioè 10 anni prima della scadenza prevista da Eurochlor.

L’appuntamento offre anche l’occasione di fare il punto sulla chimica nel nostro paese e per individuare quali sono le strategie per rilanciare un settore che ormai evidenzia chiari segni di declino.
Ma qual è la strada che individua Legambiente per evitare che la chimica in Italia smobiliti definitivamente? Lo abbiamo chiesto a Stefano Ciafani, responsabile scientifico dell’associazione che presenterà domani il dossier.

«La chimica italiana non può pensare di competere cercando di abbassare i costi delle produzioni, perché non sarà mai sufficiente rispetto ai prezzi praticati ad esempio in Cina, ma deve puntare sull’innovazione tecnologica, sui prodotti, sulla qualità, garantendosi quel valore aggiunto che ad oggi i Paesi con economie emergenti fanno fatica a garantire sul mercato globale».

Uno degli elementi che denuncia il settore è quello degli alti costi dell’energia nel nostro paese
«I costi dell’energia consumata si possono, anzi, si devono abbassare. I processi di liberalizzazione in corso da qualche anno nel nostro Paese non hanno ancora sortito effetti tangibili. Però nel frattempo si possono praticare politiche di efficienza energetica, approfittando magari degli incentivi previsti dall’ultima finanziaria per la sostituzione di motori elettrici troppo energivori. O, per restare in tema, nel caso degli impianti cloro-soda basterebbe passare dalle celle al mercurio alla tecnologia a membrana, che permetterebbe di risparmiare ingenti quantità di energia elettrica. E accedere al co-finanziamento statale proprio per la conseguente riduzione degli impatti ambientali. Eppure questa opportunità finora è stata colta solo in rarissimi casi».

Le critiche più consistenti da parte delle aziende chimiche italiane sono riservate alla normativa ambientale, ritenuta troppo ridondante e penalizzante.
«Sì e queste critiche hanno accompagnato ad esempio tutta la discussione parlamentare, durata anni in ambito comunitario, del Reach, il nuovo Regolamento europeo sulla registrazione, valutazione e autorizzazione delle sostanze chimiche. Anziché coglierne le opportunità per una riqualificazione in termini di maggiore innovazione tecnologie, ne hanno sempre e solo visto i costi. Stessa cosa per quanto riguardo l’inserimento nell’ultima finanziaria del comma che definisce l’“exit strategy” della produzione di shopper con plastiche non biodegradabili. Interventi che anziché essere vissuti come iatture su un settore che non vive un momento di grande sviluppo, dovrebbero essere colti come un opportunità per rilanciare la chimica, visto l’implicito obbligo di queste norme verso l’innovazione di processo e di prodotto».

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