[26/02/2007] Recensioni

La recensione. La nascita del tempo di Ilya Prigogine

La prima edizione (presso Teoria Srl, 1988) del testo di due brevi conferenze tenute nel nostro Paese dal russolussemburghese Prigogine risale oramai a quasi venti anni fa. Eppure, non solo conservano la freschezza del ragionare, bensì se possibile, sono ancora più attuali in quanto più maturi sono i tempi per una riflessione (operativa) sul tema.

Venti anni orsono solo pochissimi circoli culturali potevano apprezzare la termodinamica e i sistemi complessi; lo studio dei fenomeni irreversibili e il loro ruolo negli esseri viventi (umani e non); i concetti descriventi le strutture dissipative.
Eppure su questi temi, dieci anni prima, Prigogine aveva ottenuto il Premio Nobel per la chimica.
Ma eravamo ancora in una epoca ipermeccanicistica, dove la crescita economica non era neanche un totem: era un assunto di qualsiasi idea di progresso.

Prigogine ci dice che oggi l’universo accessibile alle nostre ricerche è esploso e che il tempo ha assunto una nuova immagine: “ironia della storia: in un certo senso Eistein è diventato, contro la sua volontà, il Darwin della fisica. Darwin ci ha insegnato che l’uomo è immerso nell’evoluzione biologica; Eistein ci ha insegnato che siamo immersi in un universo in evoluzione”. Anche attraverso la rimeditazione delle critiche mosse alla scienza da un pensatore “scomodo” come Bergson viene superata la divisione fra le due culture. In tal modo Prigogine scavalca la pessimistica conclusione di Monod per tratteggiare l’immagine di un universo in cui l’organizzazione degli esseri viventi e la storia dell’uomo non sono più accidenti estranei al divenire cosmico.

E allora “bisogna pensare all’universo come a una evoluzione irreversibile e la reversibilità e la semplicità classiche ( tipiche del meccanicismo, ndr) divengono allora dei casi particolari”.
Le grandi linee della storia dell’universo, secondo Prigogine, sono fatte da una dialettica tra la gravitazione e la termodinamica. Per questo “secondo me (secondo Prigogine, ndr) il messaggio lanciato dal secondo principio della termodinamica è che non possiamo mai predire il futuro di un sistema complesso. Il futuro è aperto e questa apertura si applica tanto ai piccoli sistemi fisici che al sistema globale, l’universo nel quale ci troviamo”

Le uniche cose predicabili sono l’irreversibilità e la dissipazione. Ergo, non ci troviamo di fronte ad un universo meccanico (con le sue leggi di reversibilità), bensì ad un universo termodinamico (irreversibile e dissipativo).
Ciò dovrebbe pure insegnare che, nelle trasformazioni di energia e di materia, l’uomo compie operazioni irreversibili e dissipative. Inesorabilmente soggette al concetto di entropia.
E per questo, se da una parte “il futuro è aperto”, per cui è costruibile ( progettabile), dall’altra l’irreversibilità (“proprietà comune a tutto l’universo”) e la complessità debbono mettere in guardia dal fatto che, in alcuni casi relativi alla trasformazione della materia, si può anche tornare indietro, ma a spese di ulteriore dissipazione di energia e di materia.

Di più! “Questa tendenza alla dissipazione non è solo propria delle macchine create dall’uomo e quindi imperfette, ma alla natura stessa”. Per questo c’è una freccia del tempo. Per questo oggi sono innanzitutto anacronistiche (contro Kronos), tutte quelle tendenze pseudoradicali che pretenderebbero di risolvere il problema della sostenibilità riportando indietro le lancette del tempo della materia trasformata (produzione-consumi-rifiuti: il ritorno indietro non è a somma zero!).

Come dice Prigogine “i due principi enunciati da Clausius, il principio di conservazione dell’energia e quello di crescita dell’entropia, si presentano come principi universali, valevoli per la totalità dei processi naturali ed antropici. La termodinamica si è in tal modo emancipata, da scienza delle macchine è diventata scienza della natura”. Di fronte alla vera e propria regressione che spesso presenta il dibattito sulla sostenibilità (ambientale e sociale), proprio quando si presenta con il piglio di un radicalismo da pietra filosofale, c’è solo da osservare, purtroppo, che il pensiero, quello si, non è irreversibile.

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