[08/02/2007] Urbanistica

Gli eventi sportivi producono cattedrali nel deserto?

TORINO. Cosa resta delle Olimpiadi invernali del 2006? E quale impatto hanno avuto su ambiente ed economia? Quante delle molte promesse sono state realizzate? Se lo chiede Legambiente e cerca di rispondere, giusto ad un anno dalle Olimpiadi, con il dossier «L´eredità olimpica di Torino 2006» che «fotografa e analizza il pesante impatto ambientale, sociale ed economico delle Olimpiadi torinesi: infrastrutture sportive costosissime e che hanno compromesso il territorio di interi paesi ormai inutilizzate e da demolire, la devastazione della speculazione immobiliare e...un´enorme montagna di debiti».

La ventesima edizione dei giochi Olimpici Invernali è stata sicuramente una festa dello sport, con 500mila appassionati giunti da tutto il mondo, ma anche con «5 anni di cantieri per la realizzazione di 65 opere nel capoluogo piemontese e nelle valli alpine, tra impianti sportivi (6 stadi del ghiaccio, 12 impianti di risalita, 10 impianti di innevamento artificiale, 5 piste, 4 interventi di specialità in montagna), infrastrutture viarie (18) e villaggi per l´ospitalità di atleti e giornalisti (10). Costo totale: 2,6 miliardi di euro. Soldi sborsati in larga parte dallo Stato, nonostante il Comitato Organizzatore fosse a tutti gli effetti un soggetto di natura privata».

Il dossier distingue tra «le ricadute, tutto sommato positive, per la città e quelle per il territorio delle valli circostanti: l´impatto sulle valli Chisone e Susa è stato devastante, come dimostra il nuovo skyline di Pragelato e Cesana, dove campeggiano i giganteschi impianti per il salto con gli sci e per le gare di bob».
Per Legambiente si è partiti senza considerare che «il perno su cui costruire il progetto olimpico, avrebbe dovuto essere l´attenzione al fragile territorio montano. Avrebbero potuto essere un´ottima occasione per dimostrare la possibilità di rendere compatibile una grande manifestazione sportiva con la montagna».

Eppure anche l´Unep ha promosso quelle di Torino come "Olimpiadi ecologiche", ma per Legambiente le note positive sono solo «i criteri con cui è stato costruito il villaggio degli atleti, con 2mila metri quadrati di pannelli a energia solare, un sistema di riciclaggio delle acque e l´azzeramento delle emissioni di CO2 legate alla manifestazione attraverso il finanziamento di progetti per l´efficienza energetica e le fonti rinnovabili» mentre sarebbe «da bocciare senza appello la scelta con cui invece sono state realizzate le grandi infrastrutture per le gare». E gli ambientalisti non credono molto nemmeno che il riutilizzo degli impianti tecnici può attirare un turismo costante che dipende da fattori molteplici, anche climatici oppure che può essere assicurato dall´ospitare gare di specialità o allenamenti.

E citano un esempio clamoroso: «E´ sotto gli occhi di tutti il "generoso" lascito dei grandi avvenimenti sportivi nel nostro Paese. Basti pensare agli stadi, agli alberghi e alla miriade di infrastrutture mai finite e mai utilizzate, di Italia 90. E´ il caso degli stadi, che oggi tutte le società di calcio chiedono di poter abbattere e ridimensionare alle effettive esigenze, di tante inutili stazioni ferroviarie inaugurate e mai aperte, di centri commerciali e mega parcheggi che avrebbero dovuto accogliere le orde di tifosi che avrebbero invaso il Belpaese».

La lista degli "ecomostri è lunga. A Roma: la stazione Farneto, creata ed utilizzata per i soli mondiali, l´Air Terminal Ostiense, abbandonato e messo all´asta, e l´anello ferroviario mai completato. A Milano, vicino a Linate, l´enorme scheletro di cemento di un albergo mai finito, e poi ci sono le strutture per le Colombiadi a Genova (1992) e, il disastro dei Mondiali di sci in Valtellina.

«Cattedrali nel deserto – dice Legambiente - dunque, inni allo spreco di denaro pubblico, ecomostri di cemento abbandonati da quasi vent´anni che deturpano senza una reale ragione il paesaggio da nord a sud».

Il cigno Verde pensa che anche nell´organizzare i giochi di Torino «non sia stata prestata abbastanza attenzione alla salvaguardia del territorio, soprattutto quello delle valli, e che non sia stata messa a frutto l´esperienza delle località che hanno ospitato eventi simili, le stesse olimpiadi o i campionati mondiali di sci, e si sono poi trovate a fare i conti con un´eredità pesantissima, fatta di brutali trasformazioni del paesaggio, di mega impianti in totale disuso, di oneri finanziari ricaduti sulle spalle troppo piccole delle imprudenti amministrazioni delle comunità di montagna».

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