[07/02/2007] Rifiuti

Un Paese sottosopra anche sui rifiuti

LIVORNO. Martedì prossimo verrà presentato a Roma il rapporto Apat sui rifiuti e ieri il ministro dell´Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, anticipando qualche passaggio, si è soffermato sul problema che riguarda i pericolosi.

In Italia la produzione dei rifiuti speciali, quelli cioè che provengono dal settore produttivo ammonta (dati 2004) a 108,4 milioni di tonnellate; di questi 5,3 milioni di tonnellate sono pericolosi, 56,5 milioni di tonnellate sono speciali non pericolosi, 46,5 milioni di tonnellate provengono dal comparto costruzione e demolizione e 185 mila tonnellate non sono determinati.

Intervenuto alla prima audizione della Commissione Parlamentare d´inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, il ministro ha messo in evidenza che riguardo allo smaltimento di questa parte di rifiuti, è fiorente una attività legata alla criminalità, anche perché «ci sono clienti che ritengono più efficace e remunerativo rivolgersi alla criminalità». Da qui l´appello agli imprenditori: «Ci aiutino a isolare e reprimere questi fenomeni».

Ma Pecoraro ha aggiunto anche che la attuale legislazione nostrana «è carente di delitti ambientali» e ha annunciato l’intenzione di porre rimedio a questa mancanza nell’attuale legislatura.

Quindi da questi dati si evince che la produzione dei rifiuti speciale cresce a fianco, e con numeri assai più consistenti, ai rifiuti urbani, che hanno raggiunto quota 31,7 i milioni di tonnellate e che, quindi, rappresentano meno di un terzo del problema. Del resto essendo questo flusso il naturale metabolismo del settore produttivo, invocando la crescita economica come rilancio del paese, la quantità dei rifiuti speciali sarà destinata anche ad aumentare, anche perché poco o niente si fa per migliorare i processi produttivi.

Dopodichè si evince che una parte di questi rifiuti ha livelli di pericolosità importanti, e si chiude l’analisi con il capitolo repressione delle ecomafie che stanno dietro al loro smaltimento illegale. Saltando quindi a piè pari tutto il capitolo che riguarda l’uscita dall’impianto che li ha generati, e quindi dall’inizio del loro status giuridico di rifiuti speciali, al loro ritrovamento da parte degli uomini del Noe, dopo qualche sequestro di discariche illegali.

Nel frattempo non ci si pone il problema né di sapere, e quindi di controllare prima che i rifiuti varchino i cancelli del loro sito di produzione, quanti sono e a che tipologia merceologica (codice CER)appartengono e quale sarà il loro destino futuro. Del resto che la gran parte di queste tonnellate di rifiuti siano poi i carabinieri del Noe a ritrovarli (quando va bene) sarebbe facile aspettarselo, data l’assoluta carenza di impianti in grado di trattarli, recuperarli o smaltirli in maniera corretta. Allora oltre che pensare a sistemi, più che necessari, di repressione dei crimini, sarebbe anche doveroso porsi il problema di prevenirli questi crimini: e il deterrente maggiore sarebbe certamente quello di offrire la possibilità di trattamento, recupero o smaltimento legale a prezzi di mercato. Dopodichè reprimere il produttore (controllato alla fonte) che non vi si rivolge e che preferisce rivolgersi al mercato illegale, per spendere di meno.

Ma la cosa più sconcertante è che invece né da parte imprenditoriale, né da parte istituzionale, né tanto meno da parte dei movimenti che si concenrano solo nella (pur giusta) richiesta di maggiori raccolte differenziate, ci si pone il problema nelle sue reali dimensioni e articolazioni. Anzi, si ignora perfino il fatto che anche la selezione e il riciclo dei rifiuti urbani producano rifiuti (speciali e pericolosi). E si dimentica che proprio all’interno di questo vacuum che caratterizza il nostro paese, altri paesi come la Germania vi hanno invece costruito un settore importante dell’economia che parte dalla ricerca, approda alla definizione tecnologica, ne fa industria e poi esportazione di tecnologia e di impianti. Non è un caso che infatti la tecnologia che esiste in Italia per la selezione dei rifiuti ad esempio, venga proprio dall’industria tedesca.

In Italia invece si preferisce la rimozione del problema associata alle grida sulle ecomafie. In Italia si dibatte su come intervenire per modificare il testo unico ambientale e si fa finta che ancora questo non sia legge vigente. Ma è invece questa la legge di riferimento sia per i carabinieri del Noe, cui è demandato ormai il ruolo definitivo e pressochè unico del controllo. Con buona pace di tutti i discorsi fatti sul processo di evoluzione del concetto di controllo basato sul binomio comando-controllo, verso un approccio di tipo controllo-conoscenza, assolutamente più consono al concetto moderno di protezione dell’ambiente che richiede un sistema di controllo ambientale non limitato alla verifica- seppur necessaria- di conformità alla normativa. Ma piuttosto un sistema che consenta di acquisire i dati sulle cause del degrado e sui suoi effetti, di prevenirli e di trasformarli in informazioni utili per apportare miglioramenti e per valutare la dinamica evolutiva dell’ambiente nella sua complessità.

Si fa finta (o si ignora davvero?) che ormai il testo unico è legge anche sul mercato e che quindi alcuni flussi di rifiuti sono già "spariti", come si evince dalle dichiarazioni degli operatori. Si potrebbe dire che la riduzione è già in atto. E probabilmente qualcuno lo dirà anche.

Ma che è una riduzione virtuale non interessa a nessuno. Solo che in questo modo è esattamente l´ambiente a farne le spese. Anche se si fanno cento conferenze stampa contro le ecomafie.

Allora l´ossessione della crescita sarebbe meglio indirizzata se finalmente servisse ad elevare il senso complessivo della responsabilità di una comunità che preferisce angosciarsi sulle nanoparticelle ed ignorare le megatonnellate.

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