[05/02/2007] Aria

Clima, da Parigi (e non solo) un coro di voci punta l´indice sull´uomo

LIVORNO. Si è chiuso venerdì a Parigi il quarto vertice degli scienziati dell’Ipcc, la task force di scienziati dell’Onu con il compito di stilare il rapporto sullo stato del clima, con una novità rispetto al 2001: oltre al clima meteorologico è cambiato anche il clima delle voci che hanno ruotato attorno ai lavori dell’IPPC, che lo hanno accompagnato nei giorni precedenti e in quelli seguenti. Voci che sono diventate un coro ormai sintonizzato - a parte qualche voce dissonante ma ormai sempre più flebile - sul fatto che il surriscaldamento del pianeta è una realtà, che l’uomo è tra i principali responsabili e che è necessario cominciare a lavorare per frenare il fenomeno e ridurre il più possibile i suoi effetti.

Questo messaggio-appello viene infatti ormai da scienziati, politici di entrambi gli schieramenti, imprenditori, economisti, osservatori del comportamento umano. Da Chirac che propone di rilanciare in sede Onu il tema della sicurezza ambientale a Dimas, dal chief management delle corporation che si alleano con le associazioni ambientaliste americane per fare lobbing su Bush affinchè prenda misure per ridurre le emissioni di CO2.

Ognuno con la propria sensibilità, ognuno con la propria cultura, ognuno con le proprie indicazioni, che fanno capo anch’esse alla rispettiva tradizione, sociale, politica e culturale.

Ma come sostiene Giorgio Ruffolo, in una intervista del Corriere della Sera - Economia di oggi, il fatto che sembra emergere è che di nuovo la politica potrebbe ristabilire il proprio primato rispetto all’economia. E non tanto perché è la classe politica che lo vuole, ma quanto perché è il mondo economico che lo chiede. Soprattutto una parte di esso. A partire da Davos, è la parte economica finanziaria che invoca alla politica norme, indicazioni, regole perché l’industria nel suo complesso si assuma le proprie responsabilità.

E’ il mondo della finanza che sostiene, per voce di Corrado Passera che è stato tra i pochi manager italiani a partecipare agli incontri del Wec svizzero, che serve una classe dirigente che compia chiare scelte per lo sviluppo sostenibile. «Insomma - dice sul Sole 24Ore l’amministratore delegato del gruppo bancario Intesa-San Paolo – il tema è quello della crescita sostenibile e responsabile a livello globale e non più su aree limitate».

C’è naturalmente anche l’area più legata all’approccio delle "magnifiche sorti e progressive", che depone nelle capacità tecnologiche umane la salvezza dei privilegi dei paesi dell’area ricca del pianeta. Giustificandolo anche per il fatto, che dalla crescita economica dei paesi ricchi potranno trarne vantaggi anche i paesi poveri. Certo, valutandolo solo ed esclusivamente in termini di pil, è una tesi che ha anche il suo fondamento: basta portare come dato la Cina che ha quasi sforato la percentuale di crescita dell’11% e sta superando in tempi più veloci del previsto l’economia tedesca. Ma questo non significa certo per la gran parte dei cinesi, aver raggiunto livelli di maggior sostenibilità complessiva.

In questi termini si giustifica anche la tesi sostenuta da Indur Goklany, economista di origine indiana approdato all’amministrazione Bush, secondo il quale il surriscaldamento climatico (che persino lui non disconosce del tutto) possa portare vantaggi anziché problemi: come ad esempio il fatto che le popolazioni che vivono a latitudini più a nord potranno senza dubbio stare meglio con temperature più miti. E avere magari anche la possibilità di produrre un buon vino laddove prima si potevano al massimo coltivare patate. Poco importa, naturalmente, che invece dall’altra parte del globo si contino almeno una volta al mese fenomeni da centinaia di migliaia di senzatetto e di quasi altrettanti morti a causa di uragani e simili. Come a Giacarta in queste ore, tanto per fare un esempio.

Sappiamo bene che il pil non misura il benessere reale della popolazione, anche se, senza dubbio, è possibile far finta di niente: è la crescita, bellezza!
Indur Goklany sostiene che se è vero che il surriscaldamento del pianeta porterebbe come conseguenza un aumento di morti per problemi quali la fame, la malaria e la vulnerabilità delle zone costiere, sarebbe sicuramente economicamente più vantaggioso assumersi i costi diretti per intervenire su questi problemi, anziché assumersi gli oneri necessari per ridurre le emissioni secondo quanto stabilito dal protocollo di Kyoto, con effetti addirittura maggiori.

Ma sarebbe comunque interessante scoprire come i sostenitori della crescita come antidoto positivo del riscaldamento climatico (o viceversa) quali Goklany, pensano di convincere ad esempio le multinazionali del farmaco a sostenere i costi per contrastare la malaria in aumento, se tuttora non vogliono cedere i brevetti ai paesi in via di sviluppo per autoprodursi i farmaci necessari a curare patologie endemiche e che l’aumento della temperatura porterebbe ad ampliarsi ulteriormente. Del resto questa parte imprenditoriale potrebbe non essere d’accordo nell’accollarsi da sola gli oneri per ridurre una parte dei problemi. Quando tra l’altro, proprio da parte del mondo delle multinazionali, si è intuito che investire nell’ambiente e nella sostenibilità sarà il futuro dei mercati globalizzati. E per questo sono assai interessati a far parte della partita, ma per giocarla in attivo e non certo passivamente.

E’ evidente che l’incertezza degli scenari gioca a favore, sin troppo bene, di chi è scettico nei confronti degli effetti del global warming. Del resto è sempre sull’incertezza del mondo scientifico che si gioca la partita tra chi vorrebbe prevenire o frenare le conseguenze di un fenomeno e chi invece le vorrebbe prima sperimentare in concreto. E la carenza di dati, l’informazione insufficiente sulla sfera ambientale, non mettono di fatto gli scienziati nelle condizioni di poter avere certezze di quanto accadrà nei prossimi decenni. Dal momento che le variabili in atto sono anche di una discreta entità.

Ma anche restando a quanto accade solo nella nostra vita contemporanea, i segnali indicano quale sia la strada da seguire. Si tratta di passare dalle parole ai fatti. E questa è l’assunzione di responsabilità cui Massimo Serafini richiama anche il mondo ambientalista dal fondo che ha scritto su Aprile di questo mese: «se vuole incidere e fare della lotta al riscaldamento globale la priorità delle scelte di governo».
«A che serve continuare a lamentarsi che le riduzioni previste dalla commissione europea sono troppo modeste- si chiede Serafini- o denunciare che queste aprono spazi al carbone o all’agnosticismo del nucleare, se non si fanno i conti con le emissioni aumentate ( del 13% rispetto ai livelli del ’90, anziché diminuire del 6,5% come previsto dagli impegni di Kyoto, ndr) anziché diminuite?». fare i conti secondo Serafini, significa anche ammettere che l’aumento è imputabile sicuramente per le resistenze fortissime da parte di Eni e Enel al cambiamento dei propri interessi acquisiti, «a anche perché molti ambientalisti hanno impedito in questi anni il decollo dell’eolico, contrastato le biomasse e i biocarburanti e infine in attesa del 100% rinnovabile, rifiutato il metano come fonte di transizione».

Come dire, adesso che il coro ha quasi un´unica voce, non si mettano gli ambientalisti dalla parte di chi stecca!

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