[08/01/2007] Aria

Bomba mediatica del Financial Times. Speriamo non rimanga tale!

LIVORNO. Ha fatto molto clamore la pubblicazione sul Financial Times, ripresa praticamente da tutta la stampa italiana, delle anticipazioni dello studio sulla situazione climatica e ambientale elaborato dalla Commissione europea. Ma di cosa si tratta? Parallelamente alle analisi strategiche della politica energetica di cui parliamo in un’altra parte del giornale, la Commissione europea renderà note il 10 gennaio le misure di lotta contro il cambiamento climatico dopo il 2012, cioè dopo il termine fissato per gli obiettivi del protocollo di Kyoto.

La Commissione proporrà misure strategiche realizzabili e possibili che potranno essere messe in opera dall’Ue e dal resto della comunità internazionale per ridurre le emissioni di gas ad affetto serra fino ed oltre il 2020. L’obiettivo è quello di far si che l’aumento delle temperature su scala planetaria si limiti al livello “di sicurezza” fissato a 2 gradi centigradi superiori ai livelli preindustriali. Nel caso dell’Unione Europea, le misure approvate con l’analisi dalla politica energetica pubblicate parallelamente dovranno permettere riduzioni sostanziali delle emissioni dopo il 2012.

Il colpo mediatico messo a segno dalla Commissione europea serve probabilmente a far uscire dall’anonimato una discussione già iniziata da tempo e ad avere più forza nell’imporre all’agenda politica comunitaria l’indigesto tema del rispetto degli impegni su Kyoto. Infatti, non si tratta di niente di nuovo, esiste già pubblicato sulla Gazzetta ufficiale europea del 23 dicembre 2006 un esteso ed allarmato parere del Comitato economico e sociale europeo (Cese) sul tema “Come far fronte alle sfide del cambiamento climatico e sul ruolo della società civile” che è stato adottato il 14 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria del Parlamento europeo, e già nel 2005 l’Institute for prospective technological Studies (Ipts) aveva redatto per conto della Commissione europea un documento titolato “Analysis of post-2012 climate policy Scenarios with limited participation” che nelle sue 31 pagine anticipava gran parte delle misure necessarie ad evitare la catastrofe climatico-economica prossima ventura e della quale abbiamo letto con dovizia di particolari in questi giorni.

Un allarme che la Commissione aveva già lanciato nel febbraio 2005 con la comunicazione “vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici” indirizzata al Consiglio ed al Parlamento europei ed al Comitato economico e sociale europeo ed al Comitato delle regioni e nel quale si poteva leggere. «I dati scientifici tendono sempre più a dimostrare che i benefici derivanti dal contenimento dell’aumento della temperatura media entro 2 °C su scala mondiale superano i costi connessi con l’applicazione delle politiche di abbattimento delle emissioni. Se le temperature continueranno a salire oltre il limite dei 2 °C aumenterà anche la probabilità che il sistema climatico risponda in maniera più rapida e imprevista e che avvengano catastrofi irreversibili.

La Commissione ha svolto un’analisi dei costi-benefici, che mette in luce come sia possibile ridurre al minimo i costi delle politiche di abbattimento delle emissioni e gli effetti sulla competitività applicando tali misure a tutti i settori e i gas serra, ampliando la partecipazione alle iniziative di riduzione delle emissioni a tutti i principali paesi responsabili delle emissioni stesse, facendo un ricorso ottimale ai meccanismi di progetto e allo scambio dei diritti di emissione del protocollo di Kyoto e sfruttando al massimo le sinergie con le altre politiche comunitarie (ad esempio la strategia di Lisbona, la politica di sicurezza dell’approvvigionamento energetico, la riforma costante della politica agricola comune, la politica di coesione e le politiche sulla qualità dell’aria)».

Un documento che negli allegati metteva già allora in evidenza tutti i principali problemi rilanciati dal Financial Times e che evidentemente hanno avuto una rapida accelerazione se la Commissione ha deciso di gettarli nella mischia mediatica con tanto clamore: l’innalzamento del livello del mare che metterebbe a rischio 68 milioni degli abitanti che occupano gli 89.000 km. di coste europee; il riscaldamento climatico porterebbe ad un miglioramento delle prospettive agricole dell’Europa centro-settentrionale e clima tropicale/subtropicale nel sud Europa con siccità, desertificazione, mancanza d’acqua e con un aumento di temperature di 2,5°C entro il 2080 ci sarebbero 50 milioni in più di persone a rischio fame ed a livello planetario tra 2, 4 ed i 3,1 miliardi di persone sarebbero a rischio di stress idrico; già nel 2003 ci sono state almeno 20 mila morti in più, soprattutto tra la popolazione anziana, a causa delle alte temperature estive, un fenomeno che potrebbe ripetersi con più frequenza nei prossimi anni; aumento delle malattie infettive in Europa ed a livello globale con un aumento di temperatura di 2°C ci sarebbero altri 210 milioni di individui a rischio malaria ed un aumento potenziale di epidemie di dengue tra il 30 ed i 50 %; un riscaldamento di appena 1 o 2 gradi avrebbe un significativo impatto sugli ecosistemi, sulle aree ancora selvagge e le risorse idriche. Sarebbero a rischio immediato la barriera corallina, l’ecosistema artico e gran parte della biodiversità delle aree protette.

Gli eventi climatici estremi sono già in aumento, sono raddoppiati rispetto al 1990 e tra il 1980 ed oggi in Europa il 64% delle catastrofi ed il 79% dei danneggiamenti erano direttamente attribuibili ad alluvioni o a forti precipitazioni. Negli ultimi 20 anni i danni economici provocati dagli e eventi atmosferici sono calcolabili tra i 5 e gli 11miliardi di dollari all’anno.

A livello globale aumenteranno I conflitti regionali, la fame e le migrazioni su larga scala a causa dell’effetto combinato di cambiamenti climatici, aumento delle aree vulnerabili, ad esempio in Africa, aumento dei potenziali conflitti per le risorse. Tutto questo avrà un effetto sull’Europa con un aumento dell’emigrazione verso il continente che potrà essere mitigata solo con la cooperazione allo sviluppo ed alla salvaguardia ambientale e climatica nei paesi più colpiti dai fenomeni. Quindi tutto già noto e detto da tempo, ma la politica europea non aveva avuto la capacità di rendere leggibile un allarme drammatico che forse ha finalmente avuto grande spazio sui giornali italiani non solo per l’autorevole fonte straniera che lo ha rilanciato, ma anche per la magra informativa dei giorni di festa e l’occasione splendida di riempire pagine intere con un allarme eclatante.

Speriamo che dopo il clamore l’attenzione rimanga alta. Una prima risposta positiva sembra venire proprio dall’Italia dove lo spettro incombente del disastro economico e turistico ha convinto il ministro dell´economia Tommaso Padoa Schioppa ad istituire una Commissione ministeriale per la contabilità ambientale sul danno che i cambiamenti climatici ed ambientali potrebbero apportare alla nostra economia. La Commissione ascolterà gli esperti Ue che hanno realizzato la ricerca e Nicholas Stern, l’ormai famoso consulente del governo Blair che ha ipotizzato una diminuzione del 20% del Pil mondiale a causa delle catastrofi dovute al global warming.

Ma, come per un riflesso condizionato, la commissione sarà presieduta da un Verde, il sottosegretario Paolo Cento, persona sicuramente capace e preparata, ma così si insiste sulle scelte di nicchia, come se questi rimanessero affari settoriali che si devono vedere gli ambientalisti mentre a Caserta l’Unione discute più concretamente di tagli, riforme, fase due ed economia con uno sguardo opposto e rivolto alla crescita del del Pil e a tutto ciò che può far ripartire i consumi. Intanto dal quotidiano di Confindustria giunge notizia che in Italia l’evasione fiscale è pari a 125 miliardi di euro, circa 4 finanziarie, che se recuperati (almeno per un quarto) potrebbero dare una bella mano a trovare le risorse necessarie a non accollare sacrifici e tagli ai soliti noti ed a realizzare davvero le riforme strutturali, la riconversione ecologica, l’innovazione dei processi produttivi e il rispetto del protocollo di Kyoto necessari a fronteggiare gli effetti del riscaldamento che ci minacciano sempre più da vicino.

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