[19/12/2006] Rifiuti

Bonifiche, allarme del Cnr: «Siamo piuttosto indietro»

PISA. La sede di Roma del Consiglio nazionale delle ricerche ha ospitato nei giorni scorsi un workshop “Studi su ambiente e salute nei siti inquinati: prospettive di sviluppo metodologico e applicativo”, durante il quale è stato presentato anche il rapporto Istisan 06/19 “Indagini epidemiologiche nei siti inquinati: basi scientifiche, procedure metodologiche e gestionali, prospettive di equità”, curato da Fabrizio Bianchi dell’istituto di Fisiologia clinica (Ifc) del Cnr di Pisa e da Pietro Comba del dipartimento ambiente e connessa prevenzione primaria dell’Istituto Superiore di Sanità, che approfondisce la riflessione sullo stato di salute delle popolazioni residenti nei siti inquinati.

Si è trattato quindi non della presentazione di un nuovo studio, ma di una rassegna generale di quelli compiuti negli ultimi anni nelle areea italiane a rischio.

«Abbiamo pubblicato un rapporto che raccoglie metodi, strumenti e nuovi studi – spiega Fabrizio Bianchi, - . Ovviamente non si può trattare di una rassegna completa in quanto molte situazioni non sono state ancora avviate e la mole è sterminata: 54 siti di bonifica di interesse nazionale, migliaia quelli di bonifica di interesse regionale, 120 aree ad alto rischio di crisi ambientale, oltre ai 1200 impianti pericolosi. Se uno mette insieme tutte queste situazioni viene fuori che la popolazione che è mediamente o poco esposta all’inquinamento è molto numerosa, nell’ordine di milioni di persone».

Numerosi recenti studi hanno infatti segnalato situazioni critiche per i residenti nelle aree a rischio: eccessi di mortalità, malformazioni congenite o altre condizioni anomale sono riscontrate in molte zone analizzate (tra cui Augusta-Priolo, Gela, Porto Torres, Taranto, Genova, Mantova, Massa Carrara e vaste aree della Campania interessate dallo smaltimento incontrollato dei rifiuti).

«E’ impossibile fare una meta-analisi perché si tratta di studi diversi – prosegue Bianchi - ma è possibile fare una revisione sistematica da cui emerge che alcune situazioni come i dati sulla mortalità, le cause di ricovero ospedaliero, o gli eventi riproduttivi avversi, si sono frequentemente ritrovate in eccesso in queste aree. Così come alcune patologie di tumori, oppure malattia respiratorie, o riproduttive».

«Il segnale che a livello di comunità scientifica vogliamo dare – prosegue Fabrizio Bianchi – è di accentuare il rigore scientifico e le strumentazione per indagare meglio l’impatto e le cause che determinano questi eccessi. E vuole anche essere un segnale alle amministrazioni pubbliche a non trascurare i possibili impatti di questi inquinamenti».

Fabrizio Bianchi fa anche riferimento alle bonifiche, che in alcuni casi non sono neppure mai partite. «Nelle bonifiche siamo piuttosto indietro rispetto alle esigenze che erano già state oggetto di studi e che nel ‘98 avevano prodotto la normativa di riferimento. In diversi siti – dice - siamo sempre fermi alle caratterizzazioni, e solo in pochissime aree siamo riusciti a procedere con le bonifiche. E quando si tarda a intervenire i contaminanti restano nel terreno per anni, entrano nella catena alimentare e arrivano a colpire gli animali e gli uomini. Non bisogna fare solo studi retrospettivi, ma individuare una sana prevenzione primaria rimuovendo i fattori di rischio».

Per quanto riguarda la Toscana l’unica area presa in considerazione era quella dell’ex Farmoplant (Massa Carrara): i dati di mortalità generale (più elevati di quelli regionali, specialmente tra i maschi: eccesso del 10%) rilevati a dieci anni dalla chiusura degli impianti Anic-agricoltura e Farmoplant mostrano un indice di mortalità maschile, rispetto alla media toscana, maggiore per i tumori al fegato del 53% a Carrara e del 69% a Massa, per i tumori della laringe del 64% e 52%, per il tumore della pleura a Carrara del 131%.

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