[14/12/2006] Consumo

Gli Ogm sono un sistema economico ideologico

LIVORNO. Produrre meno e meglio. Questa è la conclusione molto stringata ma assai efficace cui è arrivato Mario Giampietro, esperto di sostenibilità dell’ Arizona State University, USA, nell’intervento tenuto al Workshop del Consiglio dei diritti genetici dal titolo Ogm, fame e futuro, nell’ambito del III congresso internazionale Scienza e Società: le frontiere dell’invisibile.

Ai lavori del congresso che si è tenuto a Roma agli inizi di dicembre, si è discusso molto sul tema Ogm, che secondo le analisi di molti addetti del settore, sembrano posizionarsi ormai definitivamente nella direzione sbagliata.
Mario Giampietro analizza il paradigma dell’agricoltura industriale che con la Rivoluzione Verde ha raggiunto il suo massimo acme e che si è basato su un crescente uso di inputs tecnologici, resi possibili da una disponibilità di petrolio allora abbondante e poco caro. Purtroppo questa impostazione di agricoltura industriale, se da una parte ha permesso di raggiungere entrambi gli obiettivi che si era posta, ovvero produrre la massima quantità di cibo possibile e eliminare al massimo la presenza di contadini nella forza lavoro, sta rivelando che tale successo si basa su tre assunzioni che diventano sempre più indifendibili

La prima è che l’agricoltura sia una attività strettamente economica con l’unico scopo di produrre derrate alimentari; ma le derrate alimentari prodotte non hanno più mercato nei paesi ricchi (perché sono troppe) e hanno un costo troppo alto per i poveri.
La seconda che qualunque siano queste derrate (vegetali o animali) non fa alcuna differenza, quando invece negli allevamenti il 90% dell’energia immessa nel sistema viene dissipato nel ciclo vitale.
Infine che i costi ambientali sociali ed economici ad essa associati siano non significativi rispetto all’obiettivo di produrre sempre di più, ma basta pensare ai fenomeni di erosione e di dissesto idrogeologico per avere un idea del contrario.

Quindi, dice Giampietro, il paradigma dell’agricoltura industriale è stato ”vittima del proprio successo”, perché ha eliminato le priorità per cui è stato sviluppato e ne ha create altre che non è in grado di risolvere. Allora dato che serve cambiare il paradigma e orientarsi verso minori produzioni ma di migliore qualità (in senso lato) lo sviluppo degli Ogm, che hanno come obiettivo quello di aumentare la produttività agricola, sembra andare nella direzione opposta.

Eppure le multinazionali non sembrano intenzionate a diminuire gli investimenti su questo settore delle biotecnologie. E anzi continuano a motivare la scelta anche sul piano della necessità di produrre cibo per sfamare milioni di persone. Ipotesi cui non sembra tirarsi indietro nemmeno la Fao.

Su questi temi greenreport ha intervistato Marcello Buiatti , genetista, e Mario Capanna, presidente del Consiglio dei diritti genetici.

BUIATTI, è ancora plausibile la motivazione che gli Ogm servirebbero a produrre più cibo?
«Gli ogm non sono stati fatti per produrre di più come del resto hanno dimostrato nei fatti. La produzione della soia, dopo gli ogm, è rimasta infatti costante e quella del mais è leggermente aumentata con un trend di produttività del tutto paragonabile al periodo non Ogm».

E allora perché così vengono “venduti”?
«In realtà sono un sistema economico e ideologico, un processo di “virtualizzazione” del mondo in cui contano più le parole dei fatti. Perché gli oltre 90 milioni di ettari coltivati nel mondo a Ogm non si capisce cosa c’entrano con la fame nel mondo. Perché vengono coltivati da una parte per essere esportati ai paesi del nord del mondo, come mangime per produrre carne. E questa la chiamerei delocalizzazione industriale, non agricoltura. In altri casi è un modo per entrare nei paesi del sud del mondo con una poltica di dumping. Gli Usa farmer, non sanno che farsene delle grandi quantità di soia che producono ma hanno grossi vantaggi per le esportazioni del loro prodotto nei paesi del sud, contribuendo tra l’altro alla diminuzione delle produzioni locali e quindi a far aumentare la fame di queste popolazioni».

CAPANNA, chiedo anche a lei come il ricorso agli Ogm possa ancora ritenersi giustificabile anche da parte delle stesse aziende che li producono?
«Mi sembra che i temi che sono stati enunciati dallo stesso Giampietro siano del tutto eloquenti. E allora vorrei porre l’attenzione su cosa si sta sviluppando di nuovo e alternativo a questa impostazione obsoleta. Il fatto straordinario è che una percentuale che varia tra il 65 e il 70% di cittadini europei ad un rilevamento mensile di Eurobarometro dice che non li vogliono.
Il futuro dell’agricoltura italiana e europea se vuole contribuire in maniera originale a non rimanere schiacciata dalla globalizzazione è basato sulla genuinità dei prodotti, alla produzione che ha legami con il territorio, con la sapienza accumulata sui territori. Che poi in Italia sono quei prodotti unici che tutti ci invidiano e ci acquistano».

Questi sono i temi del manifesto sull’agroalimentare che è stato presentato di recente?
«Sì. Con quella iniziativa che è stata per adesso promossa e firmata da 18 associazioni, in Italia si è creato un fatto inedito che raccoglie tutti il 90% dei protagonisti della filiera e che dice che questo modello di sviluppo è proporzionato alle caratteristiche del nostro territorio ed è alternativo al modello basato sullo sciupio dei combustibili fossili. Ma c’è un altro elemento di novità, dato dal fatto che una delegazione dei firmatari nell’incontro avuto con Prodi il 30 novembre scorso, ha ottenuto la disponibilità del governo ad aprire nella prossima primavera un dibattito pubblico su ogm, biotecnologie e sviluppo agroelimentare del nostro paese.
Questo è un fatto straordinario che significa raccogliere tutte le componenti e tutti i contributi che esistono sul piano nazionale su questi grandi temi del futuro e porrà il nostro paese in una felice posizione di avanguardia all’interno dell‘unione».

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