[11/12/2006] Consumo

Scalia: il problema fondamentale è il governo della transizione

LIVORNO. In una intervista rilasciata ieri al quotidiano “il manifesto”, il filosofo canadese McMurty dice che “L’economia è diventata una disciplina autistica che finisce con il disseminare la cultura della globalizzazione facendola passare per un imperativo universale” e che nell’economia dell’emisfero ricco, la mano invisibile del mercato è cieca di fronte a requisiti di giustizia sociale ed ecologica e tutto ciò porta a un inevitabile collasso sociale ed ecologico” e che quindi la salvaguardia dell´ecosistema e dei beni comuni è la condizione necessaria per evitare la crisi irreversibile della società contemporanea
Abbiamo intervistato su questi temi Massimo Scalia (nella foto), fisico e ambientalista storico.

Lei è d’accordo con l’impostazione critica di McMurtry e con le conclusioni che ne trae?
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McMurtry critica il movimento noglobal e una parte degli ambientalisti troppo presi dal “sistema” per riuscire a individuare un progetto diverso. Che ne pensa?
«E’ da trent’anni che esiste un dibattito tra ecologismo e ambientalismo.
E a fronte di una cultura comune tra i due movimenti, l’ambientalismo ha come differenza una concezione globale, che si pone anche il problema della transizione. C’è tutto un percorso attraverso il quale ottenere gli obiettivi che ti poni. Voler ottenere tutto senza pensare che le trasformazioni avvengono per stadi, condanna le grandi rivoluzioni all’insuccesso.
Siccome ritengo che l’ambientalismo sia una grande rivoluzione, è essenziale porsi il problema della transizione. Perché dovrebbe essere più fortunata la rivoluzione degli ambientalisti e riuscire ad ottenere subito l’obiettivo di abbattere lo stato e il mercato, rispetto a quanti ci hanno provato prima di noi?
E ‘ importante individuare il percorso attraverso il quale si cerca di porre il vincolo ambientale sul mercato».

Il nuovo paradigma della teoria economica di McMuurtry prevede che la salvaguardia dell’ecosistema naturale e la giustizia sociale siano i due cardini in grado di sovvertire l’attuale modello economico, crede sia fattibile?
«Francamente non parlerei di nuovo paradigma. L’enunciazione degli obiettivi, non costituisce di per sé un nuovo paradigma. È l’ennesima riaffermazione degli elementi di fondo del movimento ambientalista.
E sfido qualsiasi altro movimento a poter vantare i passi in avanti che abbiamo fatto con l’ambientalismo in 30 anni di lotta. Il percorso che è stato fatto è quello di cercare di porre il vincolo ambientale sull’economia e di trovare gli strumenti per farlo rispettare.
Sul protocollo di Kyoto si potrà discutere se è adeguato o meno come strumento per contrastare il problema del surriscaldamento del pianeta. Ma sarà comunque un buon risultato se si riuscirà a rispettare nelle date previste e se gli Usa lo ratificheranno.Questo è un esempio importante di come porre vincoli al mercato. Ma ve ne sono altri, basta pensare alla querelle di qualche anno fa tra Mandela e le multinazionali farmaceutiche per ottenere il brevetto per la fabbricazione dei farmaci anti Aids.
Per venire all’Italia, non c’è il nucleare, abbiamo i livelli più bassi di benzene nei carburanti rispetto all’Europa, siamo stati i primi a bandire l’amianto e potremo andare avanti».


Il nuovo paradigma dovrebbe prevedere anche di riportare il concetto di bene comune in posizione preminente rispetto alla ragione economica e alla base di un sistema redistributivo dove è garantito l’accesso alle risorse comuni unitamente al loro mantenimento. Crede che sia possibile e che vi siano dei riferimenti pratici nell’attuale sistema politico?
«Anche in questo caso non parlerei di nuovi paradigmi. Ma della capacità di porre vincoli al mercato. La politica può essere lontana, non possiamo parlare sempre di governi amici; ma individuati gli strumenti si tratta di trovare i sistemi per farli rispettare. E dipende anche dai cittadini ottenere quegli obiettivi.
Riguardo ai beni comuni il problema da porsi è semmai di fare in modo che ci siano ancora e che siano fruibili tra vent’anni. In un panorama così sconvolto da mutamenti ecologici e sociali dovuti agli effetti dei cambiamenti climatici, il problema è come muoverci perché abbia senso tra venti o trent’anni parlare di beni comuni e della loro fruibilità. E torno a dire che il problema fondamentale è la transizione».

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