[06/12/2006] Aria

Industria chimica ´ambientalista´ per necessità

LIVORNO. Il 12esimo rapporto Responsible care di Federchimica, presentato nei giorni scorsi, traccia risultati più che lusinghieri per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro e l’attenzione all’ambiente: dal 1990 al 2004 l’industria chimica ha ridotto del 25% le emissioni di gas serra con un calo di 7 milioni di tonnellate di Co2 in 14 anni. Mentre nello stesso periodo l’Italia nel suo complesso ne emetteva il 20% in più. Abbiamo chiesto un commento a questi dati al segretario nazionale di Ambiente e Lavoro Rino Pavanello.

«Innanzitutto bisogna sottolineare che c’è una differenza sostanziale tra industria chimica e industria manifatturiera, sia per gli infortuni che per le emissioni. La chimica ha un numero più alto di personale impiegatizio rispetto al manifatturiero, e quindi è evidente la minore possibilità di infortuni sul lavoro. Inoltre essendo industrie di processo anche a ciclo continuo le misure di sicurezza intrinseche, compresa quelle di tutela ambientale, sono generalmente più elevate, perché in caso di incidente le conseguenze sono estremamente più gravi rispetto ad altri settori».

Insomma lei dice che l’industria chimica ha fatto di necessità virtù?
«Possiamo metterla anche così, ma questo non toglie che dobbiamo dare atto a Federchimica di avere stimolato negli anni le aziende verso tecnologie e processi a minor rischio. Nei fatti le aziende chimiche hanno applicato queste direttive a macchia di leopardo per cui a fronte di aziende ad alto investimento tecnologiche ne abbiamo molte altre che sono rimaste enormemente indietro. Federchimica come associazione ha poi inventato questo programma Responsible care, investendo sulla formazione dei propri quadri aziendali. Le motivazioni sono le stesse: è un tipo di industria pericolosa, se c’è un problema chiude tutto, come è accaduto per esempio con la Farmoplant».

I dati forniti da Federchimica sulla riduzione delle emissioni sono buonissimi, ma sono attendibili?
«Questo noi non siamo in grado di valutarlo, però è evidente che l’investimento comporta una diminuzione delle emissioni, quindi laddove si è investito l’ambiente ne ha indubbiamente beneficiato. Piuttosto c’è purtroppo un altro dato da considerare: in Italia l’industria chimica diminuisce a vista l’occhio, sia come presenza che come proprietà. E anche questo può avere inciso».

L’attenzione di Federchimica all’ambiente contrasta notevolmente, però, con la dura posizione assunta per quanto riguarda il regolamento Reach.
«Come tutte le associazioni europee aderenti a Confindustria, anche Federchimica ha assunto una posizione precisa sul fronte del Reach cercando di ostacolarlo in tutti i modi. Una posizione che ovviamente non condividiamo anche perché se come spero il Reach sarà introdotto nel giro di pochi mesi, l’Italia si troverà in una situazione totalmente inadeguata, perché mancano i centri di eccellenza per la realizzazione dei test tossicologici e per la predisposizione fascicoli tecnici. Molte aziende saranno costrette ad andare all’estero per farli e così rischiamo di perdere un’enorme occasione di rilancio per l’industria chimica italiana, che potrebbe davvero sviluppare personale tecnico specializzato in queste ricerche».

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