[05/12/2006] Acqua

Desertificazione, l´autocritica dei super esperti

LIVORNO. In soli 15 anni è raddoppiata sul pianeta la superficie delle aree desertificate e quasi la metà delle terre emerse è minacciata dall’aumento dell’aridità , che costringe ogni anno 900mila persone a trasformarsi in quelli che ormai vengono definiti i profughi ambientali.

I cambiamenti climatici in atto infatti creano da una parte del pianeta una sempre maggiore aridità per il sempre più scarso regime delle piogge e dall’altra un aumento dei fenomeni classici. Come il passaggio del ciclone Durian (l´ottavo ciclone dall´inizio dell´anno) nell´est delle Filippine, che ha causato sino ad ora oltre 1200 tra morti o dispersi e danni stimati in oltre 18 milioni di dollari e che ha già provocato la morte di almeno 44 persone in Vietnam, sul delta del Mekong.

I dati della desertificazione sono stati l’oggetto di una riunione di 15 super esperti convocati nei giorni scorsi a New York per concludere due appuntamenti: l´anno dedicato dalle Nazioni Unite alla battaglia contro l´avanzata dei deserti e il decennale della Convenzione per la lotta contro la desertificazione.

Come purtroppo spesso accade per questi vertici, sono più le celebrazioni e le evocazioni che i veri e concreti risultati che si portano a casa. Ma almeno una autocritica sembra esserci stata, dal momento che i 15 hanno dovuto constatare che gran parte dei fondi investiti per combattere la scarsità d’acqua nei paesi a clima arido ha nei fatti contribuito alla crescita del numero delle persone che vivono in scarsità d’acqua. I fondi impiegati soprattutto in opere infrastrutturali, quali derivazioni di fiumi, dighe, pozzi sempre più profondi hanno infatti da una parte accresciuto l’impermeabilizzazione dei suoli e dall’altra l’abbandono delle tecniche tradizionali di governo dell´acqua.

Risultato è, come sottolinea Valerio Calzolaio, coordinatore della riunione di New York, che «Nonostante l´impegno formale dei governi, il quadro complessivo diventa sempre più preoccupante».
«Assieme agli errori di gestione, di cui solo ora si sta prendendo atto, cominciano infatti a diventare evidenti gli effetti del cambiamento climatico che in pochi anni ha prodotto uno spostamento delle fasce climatiche analogo a quello che normalmente richiederebbe millenni. I confini delle zone aride si stanno allargando a velocità impressionante. E tutto ciò rende necessario aprire un secondo fronte: accanto alla campagna contro la desertificazione bisogna lanciare un piano di la lotta contro la sete. Ogni giorno 25 mila persone muoiono per malattie legate all´acqua».

Sulla via delle riflessioni sugli obiettivi mancati sembra porsi anche Rodrigo de Rato, direttore generale del Fondo monetario internazionale, che su Atlantide, trimestrale della fondazione per la sussidarietà, fa un bilancio del Millenium development goals, il programma lanciato sei anni fa dalle Nazioni Unite per dare strumenti per ridurre la povertà sul pianeta. Un obiettivo che a meno di un decennio dalla scadenza del programma è evidentemente disatteso, dato che sono ancora troppi i paesi in cui la popolazione si trova sotto i livelli di povertà e di sopravvivenza. Ma i suggerimenti che ne trae de Rato, da queste riflessioni, portano immancabilmente ancora tutte la matrice contraddittoria che sta alla base dell’organismo che dirige.

Se gli intenti dichiarati delle politiche di organismi come il FMI o la Banca Mondiale dovrebbero essere quelli di favorire lo sviluppo dei paesi del Sud, in realtà questo sistema contempla un solo possibile sviluppo e cioè quello capitalistico a livello globale e non certo quello del singolo paese sottosviluppato. E tantomeno si interrogano sul tema che l’attuale sistema economico globalizzato non tiene minimamente conto del fatto che un terzo del pianeta sfrutta e consuma risorse che spesso risiedono proprio dove vivono ( ma sarebbe più corretto dire sopravvivono) gli altri due terzi. Tra l’altro non mettendo a fuoco il fatto che perpretare questo modello, non è ormai non più conveniente nemmeno per quei paesi che “contano” nella definizione delle politiche globali.

Il modello cui si riferisce Rodrigo de Rato è infatti ancora tutto legato alla crescita tanto che dice, riferendosi alla necessità di evitare un accumulo eccessivo del debito da parte dei paesi in via di sviluppo, che «il nostro compito è quello di aiutarli a capire i rischi di una rapida formazione del debito, soprattutto se usato per finanziare spese che non promuovono la crescita». E che magari sono “promosse” per frenare l’avanzare della desertificazione e hanno prodotto più assetati e più poveri di prima.

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