[27/11/2006] Comunicati

Vedremo alla fine ma, sulla ricerca, per ora non ci siamo affatto!

LIVORNO. Non c’è convegno o altra occasione pubblica, in cui si affrontino i problemi dello sviluppo (in qualunque modo lo si voglia considerare) del nostro Pese, dove non si richiami la necessità di dare maggiore slancio alla ricerca, sia come settore pubblico che privato.

Naturalmente è necessario operare una netta distinzione tra la ricerca pubblica e quella privata. Nel senso che se è lecito, fatti salvi i principi da cui i necessari limiti di carattere etico, che l’industria faccia una ricerca finalizzata a sviluppare il settore che più sia in grado di garantirgli profitto, la ricerca pubblica dovrebbe invece occuparsi di tutto ciò che è bene pubblico, anche se non direttamente finalizzato ad avere risvolti di natura economica. Questo tra l’altro non significa che la ricerca pubblica non abbia anche tra i suoi obiettivi quello di sviluppare conoscenze utili a soggetti economici privati - che non sono in grado di fare ricerca per conto proprio – così da ampliare il campo altrimenti monopolizzato dai colossi economici a livello mondiale. La ricerca pubblica dovrebbe inoltre avere il ruolo di esercitare un controllo sulla ricerca privata per evitare che vi siano conseguenze dannose e imprevedibili, per il meccanismo della proliferazione di innovazioni direttamente finalizzate al profitto.

Sia sulla ricerca pubblica che su quella privata è comunque opinione diffusa del ruolo che questo settore può svolgere per il futuro del Paese, sia riguardo al prestigio e alle capacità intellettuali, sia per ridare slancio all’economia in modo sostenibile, così da poter competere in un mondo ormai globalizzato su versanti non sufficientemente esplorati come l´innovazione di processo e della riduzione degli impatti. Ma quando si tratta di tradurre in pratica le buone intenzioni, allora sembrerebbe di scorgere una qualche contraddizione tra quello che viene unanimemente affermato e quello che invece ne consegue.

La spesa reale per sviluppo e ricerca in Italia, pari all’1,14 % del pil, è ai livelli più bassi dei paesi dell’Ocse e corrisponde a circa la metà della media europea. Una depressione che riguarda sia la spesa privata che spende meno della metà della media europea, sia la spesa pubblica, che con i passati governi di centrodestra aveva subito notevoli decurtazioni.

Il cambio di governo aveva creato in molti operatori del mondo della ricerca notevoli aspettative, dal momento che nel programma dell’Unione era esplicitata la volontà di ridare slancio e spessore sia finanziando direttamente la ricerca pubblica sia operando sul cuneo fiscale per le imprese, così da svincolare fondi da poter essere destinati a R&S.

La finanziaria licenziata dal consiglio dei ministri e approvata alla camera, non sembra però coincidere con le aspettative, tanto che ha portato ad una manifestazione nazionale dei precari della ricerca e alle dimissioni del responsabile Ds del settore Walter Tocci, che ha promesso comunque di dare battaglia per migliorare i provvedimenti previsti, nell’iter che ancora deve fare la finanziaria in parlamento.

I punti maggiormente criticati riguardano gli scarsi fondi destinati alla ricerca con il paradosso che le risorse aggiuntive vengono di fatto ridimensionate dai tagli e le diverse modalità di trattamento riguardo agli enti di ricerca. I 230 milioni di euro supplementari, per adesso accordati, sono così ripartiti: 50 destinati al fondo per le università, 60 per l´eliminazione del taglio alle spese intermedie degli enti e 120 per il fondo degli enti vigilati dal Miur. Ciò significa che le università vengono quasi a pareggiare il taglio alle spese intermedie (che potrebbe oscillare tra 140 e 200 milioni), con i maggiori fondi assegnati. Quindi andranno a pari, ma quello che avranno in più è sicuramente un appesantimento della burocrazia, perché si dovranno attivare due procedure: una di revisione di tutti i bilanci degli atenei per l´accantonamento del taglio e l´altra di trasferimento dal ministero agli atenei di una somma quasi uguale per compensazione.

E se per le università vi sarà un taglio cospicuo in termini reali, poiché non verranno compensati gli aumenti contrattuali e in generale l´aumento dei costi all´inflazione, ancora più pesante sarà la situazione degli enti, per i quali il recupero di 120 milioni, non sarà sufficiente a compensare i tagli subiti, in particolare per quelli non direttamente vigilati dal Ministero della Ricerca, che non riceveranno nemmeno le compensazioni.
Disparità anche tra ricerca pubblica e quella privata, su cui Tocci commenta “ è stata respinta la mia proposta di compensare tutti questi tagli stornando risorse dal miliardo di euro stanziato nella finanziaria per i bandi e per la ricerca industriale”.



Ma tra le motivazioni che hanno indotto Walter Tocci a lasciare il suo incarico di responsabile della ricerca per i DS, vi è anche l’inadeguatezza della parte normativa della finanziaria, che definisce “scritta con la classica mentalità burocratica di codici e codicilli volti a complicare la gestione fino al parossismo” e cita per fare uno esempio quelle sul blocco delle assunzioni, dicendo che “la norma andrebbe citata nei manuali di diritto come esempio di come non si devono fare le leggi, inutilmente complicata, creatrice di stupida burocrazia, inefficace per il controllo della spesa pubblica in quanto si tratta di assunzioni con fondi propri degli enti che non richiedono ulteriori stanziamenti statali.”

“Tutte queste norme appartengono ad una vecchia impostazione che si poteva ormai superare, avendo scelto la strada della valutazione- continua Tocci nel suo j’accuse- “Una vola che si verificano i risultati di enti e università, infatti, dovrebbe diventare inutile scrivere regole tanto complicate. La strada del merito non solo sarebbe la più adatta a governare lo specifico della ricerca, ma sarebbe anche la più semplice da attuare.”

C’è infine l’aspetto che riguarda il funzionamento degli enti di ricerca, per cui vi era stata una pesante burocratizzazione da parte del precedente governo, che non è stata però alleggerita come atteso dalle norme previste dall’attuale finanziaria.

Nel programma dell’Unione tra l’altro era prevista l´autonomia statutaria degli Enti di ricerca con l’obiettivo di lasciare libere le comunità scientifiche di organizzarsi in maniera autonoma e di valutarne poi i risultati.

Nel decreto che accompagna la finanziaria invece “dall’autonomia statutaria degli enti- dichiara Tocci- siamo passati all´autonomia regolamentare del governo. Finché c´è Mussi possiamo stare tranquilli, ma se lo facesse un altro governo diventerebbe un micidiale strumento di controllo politico sulla ricerca. Stiamo attenti a non fissare pericolosi precedenti, le regole vanno oltre i governi, non dimentichiamolo.”

Insomma per la ricerca non siamo ancora nemmeno alla tematizzazione, ma solo alle dichiarazioni di alcuni addetti ai lavori e non è un buon segnale per un paese che dimostra incredibili ritardi nel settore tecnologico e culturale, fondamentali per avviare quel necessario ripensamento del sistema produttivo che il problema della sostenibilità, ormai inderogabile, richiede.

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