[25/10/2006] Acqua

«Riorganizzare sì, ma percependo il territorio e l’ambiente non come una merce!»

Siamo abituati, dopo ogni tragico evento ‘naturale’, a veder ribadito il concetto che ascoltai dopo il disastro di Soverato: un noto politico affermò, con piglio di circostanza, che in Calabria bisognava urgentemente “consolidare il territorio”.

Ma cosa significa ? Ancorare sulle colline le coltri detritiche che sommersero Sarno e Quindici? Costringere le fiumare in angusti canali con argini altissimi, cosicché i campeggi costruiti nelle golene non vengano spazzati via? E qui da noi cosa significa: eliminare il deflusso naturale affinché i fiumi del grossetano, della Versilia e di 100 altre zone possano essere ridotti a canalette di scolo?

Purtroppo quando si tratta della pianificazione territoriale la scienza e la coscienza del territorio passano in secondo piano e, nonostante alluvioni e frane, sembra che molti percepiscano il territorio come un plastico, da riempire a seconda dell’estro e, più spesso, delle convenienze. Pochi vedono nel territorio il luogo di dinamiche naturali ed interazioni, prevale l’impostazione utilitarista secondo la quale il problema è, nella migliore delle ipotesi, ‘come costruire’ e non ‘se costruire’ e poi ‘dove costruire’. Il ponte sullo stretto, la TAV e molti altri esempi piccoli e grandi testimoniano drammaticamente questa impostazione.

La parola d’ordine è che il territorio è sempre e comunque una ‘risorsa’; non è opportuno parlare di ‘vincoli’ ma bisogna ricercare le ‘opportunità’ che sempre il territorio offrirebbe. Questo lite-motiv ha prodotto seri danni nel rapporto uomo-territorio, ha giustificato aspettative e comportamenti incompatibili con le caratteristiche di certe zone e con gli equilibri naturali. Si è radicato nei cittadini e negli amministratori locali una percezione del territorio che non ammette rinunce. Tutt´oggi molti amministratori vivono le indicazioni legislative - in materia di tutela ambientale e di tutela dei cittadini dalle dinamiche ambientali - come impedimenti alla loro autonomia. Ad ogni livello, dal comune ai contesti internazionali, si declina l’evidenza dell’insostenibile degrado ambientale non in termini di assunzione ma di traslazione, o alienazione, delle responsabilità.

E allora devo dire che la riorganizzazione del quadro normativo e delle competenze che Gasparri auspica, e della quale c’è indubbia necessità, mi preoccupa perché dovrebbe seguire ad una decolonizzazione culturale che riporti a percepire il territorio e l’ambiente non come una merce, o una risorsa infinita, ma come il supporto vivo di dinamiche e processi che devono essere compresi, per evitare che interagiscano drammaticamente con l’occupazione antropica. Questo approccio mi pare tutt’altro che acquisito; vedo persistere l’atteggiamento colpevole di chi, dal Vajont a oggi, si prodiga a confondere la forza della natura con la potenza dell’ignoranza e della speculazione. Si nutre la convinzione che i disastri causati da frane e alluvioni siano sempre evitabili incidenti dovuti a una sorta di carenza di manutenzione, piuttosto che - come troppo spesso accade - alla conseguenza di scelte scellerate. Questo approccio è così radicato a tutti i livelli che la questione della convivenza con le dinamiche ambientali, e delle coerenti scelte di governo, è ripetutamente glissata, trasposta nella kafkiana ricerca di un impossibile ente garante della stabilità del territorio e della sicurezza ambientale.

Non vorrei che la riorganizzazione andasse di nuovo in questa direzione.

*Consigliere Ordine dei Geologi della Toscana

Torna all'archivio