[23/10/2006] Aria
LIVORNO. Il protocollo di Kyoto ha già perso molte delle aspettative che aveva generato al momento della sua sottoscrizione, e per affrontare il secondo periodo di applicazione con politiche più efficaci ed incisive per la riduzione del gas serra, Edo Ronchi, senatore e già ministro dell’ambiente, si è fatto promotore di una mozione presentata al governo e che ha già raccolto la firma di tredici senatori di partiti di maggioranza e di opposizione.
Tra gli obiettivi presentati nel documento quello di estendere la partecipazione alle iniziative per affrontare cambiamenti climatici secondo il principio della responsabilità condivisa, e sostenere gli sforzi tesi a trovare un´intesa tra i paesi del G7, che sono responsabili insieme all´Ue del 75% delle emissioni di gas serra.
Un´attenzione particolare anche alla ricerca, alla tecnologia e alle conoscenze. La mozione dei tredici senatori propone anche degli strumenti concreti per raggiungere questi obiettivi. Tra cui l’aggiornamento del piano nazionale per la riduzione dei gas serra, da integrare con un programma nazionale energetico concordato con le Regioni e definito con il Parlamento.
Inoltre i senatori invitano l´esecutivo a promuovere con maggiore efficacia lo sviluppo di tutte le fonti energetiche rinnovabili con un sistema incentivante e di lunga durata.
Insomma tutte misure concrete che certo in termini di spettacolarità, poco hanno a che fare con i livelli di fanta-tecnologia raggiunti da un gruppo di scienziati che indipendentemente l’uno dall’altro si sono cimentati in invenzioni (ma sarebbe forse meglio parlare di ´pensate´) che sembrano ispirarsi al famoso adagio del chiodo schiaccia chiodo. E che di grandioso sembrano avere poco se non nelle dimensioni del progetto messo a punto.
Anche James Lovelock, il biochimico inglese cui si deve la famosa teoria Gaia, per cui il pianeta è come un unico organismo vivente si è piegato alla filosofia del tecnicismo. In mancanza di interventi da parte della politica – sembra dire - affidiamoci allora alla tecnologia, o meglio all’ingegneria planetaria.
Tra gli scienziati che hanno messo a punto questi interventi di ingegneria planetaria, c’è chi come Paul Creutzen - nobel per la chimica e che lavora al Max Planck institut in Germania - sostiene che per raffreddare il pianeta si dovrebbero sparare due milioni di tonnellate di biossido di zolfo ogni anno nella stratosfera (la calotta di gas che riveste la terra), per mezzo dell’artiglieria o rilasciandola tramite gli aereoplani. Peccato però, che proprio l’anidride solforosa sia stata per anni l’obiettivo di politiche volte alla sua diminuzione, per cui sono stati fatti ingenti investimenti sia nel comparto industriale che in quello urbano, dal momento che questo inquinante è stato l’origine di piogge acide (ne sanno qualcosa proprio in Germania) danni ai monumenti, senza tralasciare poi gli effetti dannosi sulla salute, ormai accertati dall’Oms.
C’è invece chi propone come John Latham del national center for atmospheric research del Colorado, di aumentare la coltre di nubi per mezzo di enormi frullini (rigorosamente alimentati con energia eolica) piazzati lungo gli oceani, così da formare un continuo aerosol di acqua salata che favorirebbe la formazione delle nuvole.
Oppure chi pensa al rilascio di miliardi di palloncini argentati in grado di formare una sorta di enorme schermo riflettente così da rispedire indietro i raggi uv.
Questa è l’idea di Lowell Wood, del Lawrence Livermore Laboratory della California. E se poi i palloncini non fossero sufficienti, si potrebbe creare una vera e propria tenda parasole del diametro di appena (!) due chilometri, da porre tra terra e sole e fatta in modo tale da poterne regolare l’inclinazione, così da evitare di morire assiderati! Tutto questo costerebbe solo qualche centinaia di miliardi di dollari.
Poi ci sono i progetti che puntano alla fissazione dell’anidride carbonica. Come le fontane che spruzzano idrossido di calcio progettate da Hans Ziock un geologo di Los Alamos. Questo sale nebulizzato in atmosfera, reagendo con l’anidride carbonica formerebbe carbonato di calcio che precipita poi sul fondo. Elementare, purtroppo anche in questo caso le dimensioni sono forse il principale ostacolo del progetto: infatti per riportare la C02 a concentrazioni accettabili servirebbe una fontana di dimensioni pari a due terzi dell’Italia al costo di circa duecento miliardi di dollari.
Allora perché, avrà pensato l’oceanografo inglese Andrew Watson, non sfruttare le grandi masse oceaniche come substrato di lavoro: basta far spargere dalle navi i sali di ferro, capaci di stimolare la crescita algale e sfruttare quindi le capacità naturali delle alghe di fissare l’anidride carbonica. In pratica una eutrofizzazione di dimensioni oceaniche. E questo costerebbe meno di un miliardo di dollari.