[31/01/2006] Rifiuti

«Si rischia l´allagamento delle aree racchiuse dalle palancole»

LIVORNO. «Per quello che può essere il mio parere tecnico, e nota la conformazione del sottosuolo del sito d’interesse nazionale, pare curioso che si possa parlare di emergenza inquinamento della falda acquifera in un´area per lo più interessata da "colmate" in ambiente marino o comunque salmastro». Lo dice Jacopo Tinti, esperto di bonifiche della società Ambiente di Carrara e consulente di alcune aziende che operano nell’area di Livorno interessata dalla bonifica, a proposito delle decisioni assunte dal Ministero dell’ambiente nella Conferenza di servizi sul sito livornese. «La qualità delle acque sotterranee in ambito portuale o retroportuale – prosegue Tinti – in molti casi è di gran lunga migliore di quella dell’acqua del canale industriale o di molte darsene interne, e non mi risulta esista un’emergenza sanitaria per i lavoratori del porto dovuta alla qualità di tali acque. Credo sarebbe molto più opportuno valutare l’esigenza di un’opera di messa in sicurezza d´emergenza della falda solo sulla base di dati oggettivi da ricavarsi con uno studio idrogeologico ad hoc, che tra l’altro è in corso di affidamento da parte dell´Autorità portuale di Livorno».
Ma non è finita, perché l’ipotesi più accreditata è che il progetto che presenterà a fine febbraio Sviluppo Italia sarà simile a quello elaborato per Piombino: la messa in sicurezza della falda attraverso un sistema di palancolature, paratie metalliche infilate in mare lungo la costa. «Se ciò fosse il risultato anche del progetto su Livorno, per quanto molte banchine portuali siano già palancolate – dice Tinti – sarebbe necessario prevedere anche un complesso sistema di emungimento da pozzi a monte per evitare l’allagamento dell’area causato dal mancato deflusso delle acque meteoriche di infiltrazione. Non ultimo il consenso dei titolari delle aree che dovrebbero lasciar spazio ad una logistica operativa complessa in ambiti industriali attivi non sempre compatibili e governati da severe norme per la sicurezza».
«La situazione oggettiva – conclude Jacopo Tinti – è che la perimetrazione del sito ha portato alla paralisi dello sviluppo di tutta l’area industriale su cui risulta impedito qualsiasi intervento edilizio fino all’avvenuta bonifica, o dimostrata la conformità dei terreni e delle acque sotterranee ai limiti di legge, vanificando il processo virtuoso che si era innescato per volontà stessa di molti industriali con l’autodenuncia del marzo 2001. La prospettiva di un’opera plurimilionaria di messa in sicurezza d’emergenza della falda, se mai necessaria, non risolverà comunque la necessità di bonifica del territorio e non consentirà la restituzione agli usi legittimi delle aree perimetrate».

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