[04/10/2006] Energia

Radiazioni cosmiche fra big bang passati e allarmi futuri

LIVORNO. Il premio Nobel conferito dall’Accademia delle Scienze di Stoccolma, è senz’altro il riconoscimento più ambito nel mondo accademico. Per il settore della fisica è stato assegnato quest’anno a due americani, George Smoot e John Mather, per la messa a punto di un satellite attraverso il quale hanno superato la barriera dell’atmosfera e sono riusciti a misurare direttamente nello spazio la “radiazione cosmica di fondo”. Quella che viene considerata la coda dell’enorme quantità di energia, che secondo la teoria del big bang, si sarebbe sprigionata al momento della grande esplosione da cui l’universo avrebbe avuto origine.

Il condizionale si sa, quando si parla di teorie è d’obbligo. Il big bang è una teoria che prova a dare una spiegazione all’origine dell’universo a differenza della teoria dello stato stazionario che afferma che l’universo non ha limiti. I fondamentali di questa teoria affermano che l´universo prima del big bang sarebbe stato così caldo e denso da impedire la propagazione della luce e che al momento dello scoppio vi sarebbe stato un punto con una quantità tale di energia da cui tutto avrebbe preso inizio.

Da quel momento in poi l’espansione sarebbe stata isotropa e man mano che procedeva per onde sferiche si raffreddava dando luogo alle galassie e quindi all’universo stesso.

Questa visione porta alla conseguenza che l´universo attuale è molto diverso da com´era nel passato e come sarà nel futuro. Nei primi anni 40 si teorizzò che questa energia emessa dal big bang sarebbe stata osservabile sotto forma di radiazione cosmica di fondo. Ma soltanto a partire dagli anni 60 gli scienziati hanno potuto cominciare a misurarla. Sino ad arrivare agli anni 90 in cui i due scienziati americani hanno cominciato a fare misurazioni con il satellite Cobe, che a distanza di vent’anni ha significato vedersi riconoscere il Nobel per la fisica.

Sembra quasi un paradosso riconoscere il Nobel a chi studia le origini dell’universo e quindi del nostro pianeta in un era in cui l’uomo ha invece messo in atto meccanismi che determinano una profonda accelerazione della sua scomparsa.

Abbiamo invitato a questa riflessione Massimo Scalia, fisico e presidente del comitato scientifico per il decennio 2005-2014 per lo sviluppo sostenibile dell’Unesco.

Scalia che ne pensa di questo premio Nobel?
«Una ricerca di grande prestigio e di grande interesse per l’uso del satellite, che rappresenta una frontiera nella ricerca tecnologica. Qualche perplessità invece per il contesto in cui l’informazione colloca questo tipo di ricerche , ovvero la teoria del big bang».

Perché perplessità?
«L’idea del big bang ha sicuramente messo d’accordo la religione con la scienza. Il mondo della teologia perché ha potuto tenere saldo il dogma del “Principio” motore dell’universo, la gran parte della comunità scientifica perché l’idea è senz’altro affascinante e dà risposta ad alcuni quesiti di biologi e geologi. Ma è una teoria già in discussione da oltre 15 anni per i dubbi espressi proprio da parte degli astrofisici. Il big bang prevede una espansione isotropa, ovvero una propagazione secondo un onda sferica che man mano si raffredda e che dovrebbe prevedere una formazione sostanzialmente omogenea. Ma si è appurato che invece così non avviene, perché esistono degli ammassi stellari che si trovano in una posizione non coerente con questo schema dell’espansione isotropa, sono in pratica messi di traverso rispetto alle sfere. Questo è frutto di molti studi astrofisici, in particolare di Stephen Hawking che è senza dubbio una delle massime autorità in materia e che già nei primi anni 90 si è espresso in modo critico rispetto ai fondamenti della teoria del big bang».

Non le sembra che sia quasi paradossale continuare a porsi domande sull’origine dell’universo e quindi del pianeta, quando da parte proprio del mondo scientifico arrivano allarmi e previsioni sulla sua possibile fine in tempi storici anziché biologici?
«Carlo Rubbia che è stato il nobel italiano per la fisica nel 1984 ha più volte pubblicamente ripetuto che se Fermi fosse vivo oggi sicuramente dedicherebbe le sue energie intellettuali alla ricerca sull’effetto serra e sui cambiamenti climatici. È evidente che è sempre facile parlare a nome dei morti, perché non possono smentire, e non si possono mettere vincoli a questo tipo di ricerca scientifica. Ma nella prospettiva della domanda che mi poni è consolante però ricordare che sono ben due anni che la gran parte della comunità scientifica, ovvero le accademie scientifiche dei 12 paesi più importanti del mondo - Cina e India inclusi - si rivolge ai potenti del G8 per segnalare un preoccupato allarme sul nesso che esiste tra consumo di energia e cambiamenti climatici, per gli effetti che questo produce. E proprio in occasione dell’ultimo G8 di San Pietroburgo queste accademie scientifiche hanno chiesto ai presidenti dei Paesi più potenti del mondo che si faccia fronte da subito a questi scenari attraverso un ricorso intenso all’uso efficiente di energie e al risparmio energetico, che segnalano come prioritario, e per i quali richiedono che gli stati mettano in moto finanziamenti pubblici per attivare interventi in questo settore».

Torna all'archivio