[27/09/2006] Rifiuti

Uno, nessuno centomila rifiuti in cerca di legislazione (e definizione)

LIVORNO. Che uno dei nodi cruciali per la modifica del Codice ambientale, fosse il tema della gestione dei rifiuti era emerso sin da quando l’intenzione di “cancellare” il Testo Unico sull’ambiente era stata espressa dal ministro Pecoraro Scanio. Quello dei rifiuti e delle bonifiche era infatti l’argomento più “gettonato”da chi invece sosteneva e aveva sostenuto la validità dei profondi cambiamenti introdotti nella normativa ambientale dall’allora ministro Matteoli.
Non a caso il secondo decreto legislativo approntato dalla Commissione Turroni che dovrebbe – e il condizionale è d’obbligo data l’assoluta mancanza di consenso soprattutto da parte del ministero dello sviluppo- essere portato in consiglio dei Ministri il prossimo 6 ottobre, prova infatti ad entrare nel merito di alcune delle questioni più spinose che riguardano proprio i rifiuti.
Invocando la necessità di rispondere ai numerosi provvedimenti d’infrazione da parte dell’Unione europea la bozza (che secondo indiscrezioni sarà comunque riscritta prima di portarla in CdM) interviene su alcuni punti nevralgici che sono: il recupero dei rifiuti, le definizioni, i campi di applicazione, i sottoprodotti, le terre e rocce da scavo e i rottami ferrosi, che tornano ad essere ricompresi tra i rifiuti. La loro esclusione prevista dal Codice Ambientale, insieme all’esclusione del Cdr di qualità, aveva infatti fatto scattare il deferimento dell’Italia alla Corte europea di Giustizia per la definizione troppo restrittiva di rifiuto.
Mentre il recupero dei rifiuti torna ad essere uno dei passaggi nella strategia delle cosiddette 4R e le materie prime seconde (non più sottoprodotti) sono materiali che rientrano nelle categorie assoggettate alle norme del recupero, che a loro volta rientrano a tutti gli effetti nella disciplina della gestione dei rifiuti.
Sulle definizioni il problema appare ancora aperto. Del resto la necessità di arrivare a definizioni comuni all’interno dell’UE, è un problema ripreso anche dalla nuova Direttiva sui rifiuti del 5 aprile scorso (2006/12/CE) e a cui gli Stati membri dovranno adeguarsi entro i canonici due anni. Fermo restando che proprio su cosa è un rifiuto la definizione della direttiva stessa è abbastanza curiosa: l’elenco delle sostanze che rientrano tra i rifiuti è infatti rimandato ad un allegato (IA) dove alla fine dell’elenco delle categorie si trova la lettera Q16 che recita: “qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopraelencate”. Come dire tutto!
La nuova direttiva (che apporta non pochi cambiamenti nella gestione dei rifiuti e che sarebbe quindi utile tenere in conto nei lavori di ri-scrittura del Codice ambientale per non trovarsi poi a doverci rimettere le mani non appena approvato) richiama anche alla necessità di ovviare alla disparità esistente tra le legislazioni dei vari Paesi, per non incidere sul buon funzionamento del mercato interno. E questo è da sempre stato un problema non da poco: per esempio la necessità di adottare apposite norme per i rifiuti riutilizzabili che viene richiamata , in Italia era già stata accolta con il DM del 5 febbraio del 1998, poi abrogato per effetto del Codice ambientale.
Il fatto però che la direttiva abbia fatte proprie le strategie della Commissione e che quindi sia scomparsa la gerarchia delle quattroR, che è stata alla base dei sistemi di gestione sino ad ora concepiti e regolati e che viene recuperata anche dalla bozza di revisione del Codice ambientale, pone qualche interrogativo.
I passaggi previsti per la gestione all’art.3 sono infatti due: prima interventi di prevenzione per ridurre la quantità di rifiuti prodotti; in seconda battuta o il recupero per ottenerne materie secondarie o il loro uso come fonte di energia.
Come si concilia infatti che recupero di materia e di energia sono allo stesso livello e che l’uso di rifiuti come combustibile è compreso sia nelle operazioni di recupero (Allegarto IIB)che in quelle di smaltimento (All.IIA)?
Un passaggio che potrebbe anche suscitare qualche ricorso alla Commissione europea in senso diametralmente opposto a quanto avvenuto sino ad ora.
Ci sono poi altri due elementi di fondo che vengono dalla direttiva sui rifiuti e
che dovrebbero essere tenuti in considerazione nella revisione del Testo Unico. All’art.6 si rimanda agli stati membri l’individuazione delle autorità che dovranno mettere in atto quanto disposto dalle nuove regole comunitarie.
In Italia con il Decreto Ronchi questa era materia delle Regioni, che potevano volendo delegare alle province.
Il Codice ambientale introduce invece una novità, individuando negli Ambiti Territoriali Ottimali, il fulcro della gestione, affidandogli infatti i compiti di pianificare, gestire le gare, individuare il gestore e così via. Senza entrare nel merito se cosa giusta o sbagliata si ravvisa però quantomeno la necessità di cambiare agli Ato la ragione giuridica per poterlo fare. Anche su questo- che non è poca cosa rispetto all’attuale assetto amministrativo- sarebbe interessante capire quale sarà l’orientamento della futura opera di revisione.
Infine un elemento dirimente per poter cambiare davvero nel nostro Paese un sistema che, basato sulla tecnica dello “scaricabarile”, ha determinato al tempo stesso gravi danni all’ambiente e all’economia e ha dato un gran da fare alle forze dell’ordine per la repressione degli smaltimenti illegali.
Il problema è quello dei controlli alla fonte, ovvero nella sede di produzione primaria dei rifiuti che ancora una volta vengono assolutamente ignorati nella direttiva, che pure si prodiga a fare raccomandazioni e a prevedere disposizioni di vario genere per assicurare che tutte le operazioni vengano svolte nella più completa salvaguardia dell’ambiente e della salute. La direttiva si occupa infatti dei produttori primari di rifiuti solo quando li esonera da qualsiasi tipo di procedimento di autorizzazione qualora provvedano a recuperare (quindi anche a bruciare) o a smaltire i rifiuti prodotti all’interno del proprio stabilimento.
Mentre altre autorizzazioni, registri, dichiarazioni sono previste solo ed esclusivamente per le fasi successive che riguardano gli intermediari, i trasportatori, i detentori di impianti di smaltimento, insomma sempre dopo che questi rifiuti sono usciti dagli impianti che li hanno prodotti.
La Commissione Turroni, si porrà questo problema che ha determinato sia l’assoluta incapacità di quantificare la reale produzione di rifiuti speciali nel nostro Paese sia l’avvelenamento di intere aree di territorio? Oltre naturalmente al proliferare degli smaltimenti illegali e delle economie legate alla criminalità organizzata che ogni anno fanno aumentare le pagine dei rapporti sulle Ecomafie di Legambiente.

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