[26/09/2006] Rifiuti

Ancora su gassificatori e dissociatore molecolare

Il termine gassificazione significa, letteralmente, trasformare in gas.
Recentemente è stato utilizzato per indicare il processo che avviene in appositi terminali ove si trasforma il metano trasportato liquido in apposite navi in metano allo stato gassoso da distribuire nei metanodotti (vedasi la proposta del gassificatore di Livorno).

Si è pertanto reso necessario chiarire la differenza tra un processo fisico (passaggio di stato da liquido a gassoso di una sostanza che resta immutata, come il metano) e un processo chimico nel quale si libera energia contenuta nei legami tra gli atomi che costituiscono le molecole organiche.

La necessità di fornire pertanto una corretta informazione ha generato quindi il termine «dissociatore molecolare».

Il processo di dissociazione molecolare è un processo che avviene naturalmente per garantire le diverse forme di vita animale che si nutrono dell’energia contenuta nei legami delle molecole Carbonio-Idrogeno che si sono costituite attraverso il processo di fotosintesi utilizzato, grazie all’energia solare, dalle diverse specie vegetali che popolano il nostro pianeta.

La dissociazione di queste molecole organiche, fino alla forma stabile costituita da CO2 e H2O (anidride carbonica e acqua) avviene per via biologica ( basti pensare ai batteri utilizzati nei di gestori anaerobici), per via chimica (esterificazione) o per via termochimica (combustione, massificazione, pirolisi).

In sostanza il principio è sempre quello di rompere legami di molecole complesse per ottenere composti semplici ( ad esempio CO, ossido di carbonio, CH4, metano, H2 , idrogeno) che, con un successivo processo di ossidazione liberano energia e producono CO2 e H2O.

E’ vero che il processo chiamato anche massificazione è noto da anni, ma è altrettanto vero che non sempre tutte le tecnologie che si utilizzano danno gli stessi risultati.
Ad esempio, il Gassificatore di Greve in Chianti utilizza un processo denominato Circulating Fluidized Bad, CFB, letteralmente Fluidificatore a Letto Circolante, usualmente Gassificatore a letto fluido, dove il processo avviene in un ambiente dove il materiale è mantenuto in sospensione per essere sottoposto ad un processo termico ad alta temperatura (oltre 1000 gradi °C) e per tempi limitati.
Come evidenzia lo stesso dott.

Agati, l’effetto di tale processo è quello di portare inevitabilmente alla fusione o sublimazione sia di vetri che di metalli, di determinare notevole produzione di particellato, di richiedere tecnologie complesse e costose, di determinare una notevole presenza di carbonio residuo nelle ceneri non ossidato, di richiedere pezzature piuttosto piccole per il materiale immesso.

In definitiva questo impianto non si differenzia molto da un usuale processo di combustione, mantenendo molti svantaggi dello stesso e pochi vantaggi di un corretto processo di gassificazione.

L’impianto visitato in Islanda utilizza al contrario una tecnologia che, attraverso una minore temperatura di processo , tempi notevolmente maggiori ed evitando ogni movimentazione del materiale da processare, riduce notevolmente molti problemi tipici di un inceneritore, quali l’emissione di nanoparticelle, di metalli pesanti, di diossine e di furani, l’alta produzione in percentuale di scorie e di ceneri.

Una tecnologia più semplice che , pur sfruttando un processo di ossidazione finale, in definitiva di combustione, determina comunque impatti ambientali notevolmente inferiori rispetto ad un tradizionale inceneritore.

E’ ovvio che , come ogni tecnologia, va utilizzata nel modo appropriato.
In Islanda, data la scarsa densità di abitanti, viene utilizzata direttamente sul rifiuto indifferenziato.

In Italia dovrebbe inserirsi nel modo corretto in un sistema che punti principalmente alla riduzione dei rifiuti e al recupero di materia.
In un tale sistema, dove ovviamente una corretta fase di raccolta differenziata è indispensabile per semplificare ogni successivo processo di trattamento e valorizzazione del materiale raccolto, il processo termochimico di dissociazione molecolare potrebbe affiancare, per le sostanze organiche cellulosiche, il processo anaerobico che dovrebbe trattare le sostanze organiche con alta concentrazione di carbonio volatile ( i così detti scarti da mensa, ad esempio).

Il processo anaerobico potrebbe utilizzare i numerosi impianti di depurazione dove spesso si sottoutilizzano le linee anaerobiche per i fanghi (l’esperienza di questi anni fatta a Viareggio ha dimostrato come è possibile “eliminare” 40 tonnellate al giorno di organico, producendo circa 8000 m2 di biogas, semplicemente utilizzando i digestori anaerobici fermi da 10 anni ); il processo di dissociazione molecolare potrebbe invece utilizzare tutte le altre sostanze a base di carbonio, le così dette biomasse, dalle quali si può estrarre l’idrogeno che potrà produrre energia elettrica nelle celle a combustibile ( dove avviene il processo inverso dell’idrolisi) con rendimenti doppi ( circa il 70 %) rispetto ai tradizionali impianti a ciclo di vapore e turbina.

Ceneri prive di inquinanti e fanghi di depurazione stabilizzati anaerobicamente possono contribuire alla produzione di ammendanti e compost di qualità.

Per la frazione plastica presente nei rifiuti si sta prospettando una interessante soluzione, allo studio in questo periodo anche grazie al contributo dei Verdi.

Fermo restando che il primo obiettivo è eliminare l’inutile utilizzo di plastiche (basti pensare agli ingombranti e diffusi imballaggi), bisogna puntare al recupero delle materie plastiche raccolte in modo differenziato.

La plastica è infatti costituita da polimeri di sintesi, ottenuti da prodotti provenienti dal petrolio; per produrre questi polimeri è stato necessario spendere energia, ed il bilancio di un utilizzo energetico delle plastiche per uso energetico potrebbe risultare, alla fine, negativo.

Ma il recupero diretto delle plastiche in impianti di stampaggio è ostacolato dalla enorme eterogeneità dei polimeri in circolazione e dai diversi comportamenti termoplastici delle stesse.
Però tutte le sostanze plastiche provengono da pochi componenti di base, ottenuti dal petrolio.

La ricerca proposta dai verdi è quella di individuare un processo che scomponga le plastiche nei “mattoncini” di base, in modo da poter riottenere da questa base altre sostanze plastiche senza dover ricorrere nuovamente al petrolio.

Una sorta di Plastica Vergine Riciclata (PVR), marchio utilizzato per questo progetto.
Il processo potrebbe utilizzare alcune tecnologie già messe a punto in altri paesi che utilizzano processi termici ad alta pressione e con la presenza di catalizzatori.

In definitiva, come si vede, ogni tecnologia può essere valida, purchè appropriata e finalizzata ad ottimizzare un sistema ( raccolta, valorizzazione, recupero) di raccolta differenziata, unica soluzione praticabile e valida al problema dei rifiuti.

*E´ igegnere e presidente dell´Asssociazione Capitalismo Naturale

Torna all'archivio