[30/01/2006] Energia

Abbassare le royalty per le rinnovabili, alzare quelle della geotermia

LIVORNO. A dicembre i Verdi toscani hanno presentato una proposta di legge regionale che propone di decuplicare le royalties che le industrie proprietarie di impianti geotermici devono per le concessioni alla Regione e ai Comuni. Queste somme sarebbero poi destinate al finanziamento delle fonti rinnovabili, con la creazione di poli energetici e il coinvolgimento di alcune grandi aziende energetiche, quasi tutte private. Chiediamo cosa ne pensa a Lorenzo Partesotti, esperto di energie rinnovabili.

«Questa proposta solleva un problema vero e di grande importanza: quello delle royalty, in genere irrisorie (anche 1 solo centesimo di euro per Kwh prodotto), pagate dalle aziende energetiche agli enti locali. Situazione che occorre assolutamente affrontare per tempo se si vogliono poi evitare provvedimenti estremi come quelli adottati in alcune regioni come Puglia e Sardegna (comunque causati da diversi fattori), che oggettivamente rischiano di allungare nel tempo il monopolio delle fonti fossili».

Ma attualmente quali sono le royalty per le energie rinnovabili in Toscana?
«La Toscana è l’unica regione dove ci sono impianti geotermici e le aziende energetiche proprietarie (in realtà solo l´Enel) pagano a Comuni e Regione circa 1,5 cent per KWh prodotto. La proposta dei Verdi è di portare questa royalty a circa 12 cent per KWh. Nel caso di impianti eolici, pur senza alcun obbligo di legge, le maggiori aziende (Enel, Edison, Gamesa) pagano da 1 a 2,5 cent per KWh, alcune ex municipalizzate pagano da 3 a 5 cent per KWh, mentre alcuni piccoli operatori privati pagano circa 7 cent. E’ evidente l´opportunità di innalzare e portare a livelli significativi gli importi delle royalty degli impianti energetici da fonti rinnovabili, ma è altrettanto evidente che se non vogliamo agevolare gli impianti a fonti fossili, questi ultimi dovranno pagare importi maggiori di quelli pagati dalle rinnovabili, altrimenti non andiamo certo in direzione di una riforma di un modello energetico basato su petrolio e aumenti dei consumi».

A chi vanno, e per che cosa vengono spese le royalty?
«I Verdi chiedono di destinare queste risorse alle fonti rinnovabili, ma tutto è altrettanto generico quanto le attuali leggi della Regione Toscana (LR n 45/97 e LR n 5/04) che per l´appunto già prevedevano di destinare le attuali modeste royalty al risparmio energetico e a “miglioramenti ambientali” delle aree interessate, probabilmente senza che una lira o euro che sia, sia mai stata realmente destinata in questo senso».

Invece come andrebbero usate?
«Occorre evitare alcune cose: che le fonti fossili siano privilegiate, e dunque prevedere royalty adeguate per le rinnovabili, ma comunque inferiori a quelle pagate dagli impianti a fonti fossili; che i fondi derivati dalle royalty vadano a finanziare generici interventi energetici e ambientali come è stato fino ad ora con la vecchia legge; che provvedimenti generici agevolino e finanzino progetti industriali di grandi gruppi privati che non hanno bisogno di fondi pubblici per costruire impianti a fonti rinnovabili già remunerativi. Occorre allora una progettualità, fino ad ora mancata, che potrebbe basarsi su alcuni punti fondamentali».

Quali sono secondo Lei?
«Il sistema energetico verso cui andare è certamente quello basato su impianti medio piccoli ad alta efficienza e con fonti rinnovabili, diffusi nel territorio. La cosiddetta “generazione diffusa”. La relativamente modesta dimensione degli impianti e la loro diffusione nel territorio può agevolare una “proprietà diffusa”, che cioè veda la presenza nella proprietà degli impianti non solo dei grandi gruppi energetici europei, ma pure – anzi, il più possibile - di ex municipalizzate, Comuni, aziende locali e azionariato diffuso, questi ultimi coinvolgibili sopratutto negli impianti di pochi MW. Nel settore agricolo occorre puntare su di una nuova “filiera agroenergetica” non solo basata sulla tradizionale biomassa legnosa, ma pure su coltivazioni per combustibili (oli vegetali ed alcool), e sulla “coltivazione” del vento, agevolando la nascita di un tessuto locale di piccole imprese, consorzi, cooperative».

E dal punto di vista economico, tecnologico e industriale questo reggerebbe?
«Bisogna considerare che sono ancora aperti ampi spazi per lo sviluppo di produzioni diversificate adatte alle specifiche realtà territoriali. Per esempio: se le grandi industrie eoliche nord europee aumentano sempre più le taglie e dimensioni di turbine eoliche adatte alle pianure e all´off shore del mar del nord, il panorama della attuale produzione industriale del settore garantisce spazi importanti per lo sviluppo e la produzioni di taglie medie di facile trasporto ed allacciamento alla rete nella realtà territoriale di una penisola montuosa come è l´italia. Nel solare termico, basterebbe invece una industrializzazione di massa del processo produttivo di tecnologie sostanzialmente mature ma con costi ancora elevati solo perchè ancora troppo di “nicchia”».

Qualche esempio?
«La Danimarca, dopo la crisi del petrolio ha avviato una politica di investimenti di risorse (limitate) nella ricerca e sviluppo e nelle politiche industriali che hanno fatto nascere la moderna tecnologia eolica, che si è diffusa in modo capillare, perchè ha fin dall´inizio ha coinvolto economicamente le popolazioni locali con cooperative, consorzi di piccoli comuni e aziende agricole che hanno costruito centinaia di impianti eolici.
Ma il nostro ritardo non è solo verso i paesi scandinavi Negli altri paesi si fanno questi impianti grazie anche ad una certa maturità e responsabilità sociale che invece in Italia ha il contraltare in un luddismo alla Ripa di Meana che fa il gioco di un´Eni che finanzia chiunque possa garantirgli gli attuali fatturati petroliferi. Oltre 10 anni fa – anche nei direttivi di legambiente – sostenevo inutilmente la necessità che Enel entrasse con forza nell´industria eolica anche come azienda produttrice; inutilmente perchè si sosteneva che una azienda che produce energia non dovrebbe produrre turbine, anche se questo non sta scritto da nessuna parte come non è scritto che invece doveva occuparsi di cellulari. In ogni caso ora allo stesso Prodi si riporta giustamente con forza il caso/esempio di una industria spagnola, Gamesa, che allora non esisteva e che in soli 10 anni è arrivata al terzo posto tra le aziende eoliche mondiali, occupando 30.000 addetti (la Fiat ne ha 45.000). Altri esempi si potrebbero fare sull´industria del solare in Grecia, Turchia ed Israele, e sulle potenzialità delle regioni meridionali».

Già negli anni 70 il presidente dell´OPEC Yamani diceva che l´età della pietra non finì per la mancanze di materia prima…
«In Italia corriamo però il rischio che l´era del petrolio finisca solo con la fine del petrolio, e non mi sembra che la sinistra e l´ambientalismo abbiano ancora le idee molto chiare per un progetto forte che ci eviti ancora troppi decenni di petrolio, guerre e disastri di vario genere».

(nella foto i soffioni di Larderello)

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