[15/09/2006] Consumo

La Cina è vicina, come il baratro

LIVORNO. La corsa alla Cina è cominciata, lo sterminato mercato cinese, fatto di folgoranti ricchezze e povertà che genera manodopera a basso costo, promette grandi affari. Lo hanno capito bene per prime le multinazionali, poi sono arrivati i governi, compreso il nostro, e le luci sfavillanti del nuovo turbocapitalismo, assicurato dalla ferrea presa del partito comunista cinese, attirano come falene le imprese occidentali, dimentiche di violazioni dei diritti umani, pena di morte, nazionalismo alle stelle e bombe atomiche.

Una miscela esplosiva, guardata con sospetto in altri paesi, ma bonariamente e realisticamente sorvolata in Cina, nel nome del realismo e di un mercato di più un miliardo di bocche da sfamare e di case da riempire di prodotti di consumo.

La riproposizione del modello occidentale dei consumi, sostenuta dallo slogan «arricchitevi» di Deng Xiao Ping, ha già prodotto una crescita che surclassa le altre tigri e dragoni economici del sud est asiatico ed ha già generato inquinamenti e catastrofi ecologiche che, come costi, sono valutabili in almeno la metà della crescita di Pil prodotta in questi anni.

E non è un caso se proprio il mercato cinese delle tecnologie di disinquinamento è quello dove più sono impegnati paesi come la Germania. Si dice che i cinesi aumenteranno i consumi esponenzialmente nei prossimi anni, che dobbiamo essere pronti a cogliere l’occasione di un mercato potenziale di 300 milioni di nuove auto (magari “ecologiche”), dei gadget teconologici, dei prodotti di lusso e dei viaggi per la minoranza ricca (comunque almeno 100milioni di persone) e del soddisfacimento dei bisogni di base più elevati delle masse che, con l’inurbazione imponente degli ultimi anni, hanno creato le megalopoli più inquinate del pianeta.

Ma nessuno pare farsi una domanda semplice che pure il World Watche Istitute si faceva già dieci anni fa: Sarà possibile cavalcare il dragone, si può condurre la Cina ed i paesi dell’Apec verso uno sviluppo sostenibile?

A guardare certe città cinesi, già trasformate in discariche dei prodotti tecnologici di consumo occidentali ed in attesa dell’ondata del neo-consumismo locale, c’è da avere paura di darsi una risposta.

La Cina ha cominciato da qualche anno a perdere la capacità di nutrire sé stessa (anche per questo il regime è così preoccupato della fuga dalle campagne) , il problema ora non è più l’atavica fame cinese che i comunisti sono riusciti a sconfiggere a costo di immensi e durissimi rivolgimenti sociali, la prospettiva è quella tra un divario tra la produzione e la domanda di cibo, soprattutto per l’aumento del consumo di carne, un divario che è senza precedenti nella storia umana e forse ancora più pericoloso dell’enorme domanda di materie prime ed energetica che ha prodotto la crescita dei prezzi a livello mondiale.

Nonostante la ferrea politica di limitazione delle nascite, i Cinesi dovrebbero essere un miliardo e 600 milioni entro il 2030, a questo si aggiunga che la crescita economica ha portato un aumento dei redditi di una rapidità che non ha precedenti nella storia dell’umanità ed ad un’altrettanto rapida mutazione dei consumi, a cominciare da quelli alimentari, con un maggior consumo di carne, latte ed uova.

E più consumo di carne vuol dire necessità di più cereali da destinare all’alimentazione animale, il tutto in un paese dove la superficie agricola disponibile era già ridotta e l’acqua già scarsa per l’uso in coltivazioni irrigue; l’espansione di industrie, città, infrastrutture, dighe grandiose le stanno ulteriormente riducendo. Quindi la Cina si rivolgerà (lo sta già facendo) al mercato mondiale ed anche i suoi problemi di scarsità di terra coltivata e di acqua diverranno i problemi di tutto il mondo.

«Con ogni probabilità, non sarà in paesi devastati dalla povertà come Somalia o Haiti, ma nell’economia in espansione della Cina – scriveva già nel 1997 il presidente del Worldwatch Institute, Lester R. Brown - che vedremo l’inevitabile collisione tra la crescente domanda di cibo (e di consumi, ndr) e i limiti di alcuni fondamentali sistemi della Terra: la capacità degli oceani di generare nutrimento, del ciclo ideologico di fornire acqua dolce, delle colture di utilizzare efficacemente maggiori quantità di fertilizzanti. Le onde d’urto di questa collisione si ripercuoteranno su tutta l’economia mondiale, con conseguenze che oggi possiamo soltanto intravedere».

E’ la questione della sostenibilità posta al massimo sistema: l’esportazione del modello di produzione e consumi occidentale nel paese più popoloso del mondo metterà in crisi l’equilibrio del Pianeta, una cosa risaputa ma una preoccupazione che non sentiamo negli entusiastici commenti della delegazione italiana per la crescita cinese e per le porte spalancate su un mercato dei consumi infinito, che potrebbe rivelarsi un baratro.

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