[13/09/2006] Comunicati

Sostenibilità, politica e economia: chi (e cosa ) sta sotto e chi ( e cosa ) sta sopra

La discussione da tempo sviluppatasi su greenreport sul rapporto crescita-sviluppo-sostenibilità, si è arricchita in queste settimane da un dibattito parallelo su altri media che riguarda gli strumenti (tale dovrebbe essere il nuovo partito democratico) per governare una globalizzazione economica che sta producendo guerre, acuendo le disparità e le ingiustizie fra (e dentro) le diverse aree geografiche e minacciando la coesione sociale.

L’intervista di Ruffolo pubblicata ieri evidenzia bene come i nessi che tengono legate a doppio filo la sostenibilità ambientale, quella sociale e quella economica rimangono per lo più occultati. Da una parte sembra che la sostenibilità ambientale sia una mera questione di salvaguardia del pianeta (e già sarebbe sufficiente per avere priorità) e dall’altra sembra che il totem della crescita economica abbia bisogno (“soltanto”) di essere “piegato” ad una maggiore giustizia sociale.

Questa discussione, è ovvio, vede partecipe l’arcipelago del centrosinistra essendo la destra culturalmente e monoliticamente attestata, da sempre, sulla necessità di liberare quanto più possibile gli spiriti animali del mercato casomai temperandone gli effetti con la necessaria “compassione” verso gli uomini e la natura.

Già questa rappresentazione evidenzierebbe quanto le giugulatorie sulla obsolescenza dei concetti di destra e sinistra si fossero dimenticate che comunque c’è chi sta sopra (i meno) e chi sta sotto (i più) e che una migliore redistribuzione fra i primi e i secondi non la possono garantire le dinamiche autonome del mercato e dell’economia.

Ma, oltre ciò, c’è da dire che chi si propone di costruire (o di ricostruire) un soggetto collettivo che intervenga sulle, e orienti le, dinamiche inerziali di mercato in termini di migliore redistribuzione della ricchezza e maggiore giustizia sociale non può farlo, oggi, senza tenere in conto il “capitale naturale”.

Il mercato è, forse, la più grande costruzione sociale realizzata dall’uomo e, non foss’altro per questo, l’economia è ( e deve essere considerata) un sottosistema della polys. Non è facile, certo, in una economia globalizzata dove 74.000 multinazionali orientano i mercati di ogni tipo, ritematizzare il governo dell’economia. Ma è (sarebbe) addirittura impossibile se in questo sforzo di ritematizzazione ci si dimenticasse che polys ed economia sono a loro volta sott’ordinate all’equilibrio ecologico del pianeta. Né la prima, né la seconda, sarebbero esercitabili stravolgendo, consumando e/o dissipando questo equilibrio.

Non solo i rapporti del Worldwatch, è tutto (o quasi) il mondo scientifico che avverte che stiamo segando il ramo su cui siamo seduti. Senza implementare culturalmente, politicamente, amministrativamente, quotidianamente, l’acquisizione di questo concetto (che significa praticare una economia ecologica), non ci sarà alcun soggetto collettivo, né nuovo né vecchio, che sarà capace di rispondere alle contraddizioni di questo tempo. E allora non rimarrebbe che ripiegare sulla “pedagogia delle catastrofi” che, però, al di la di chi la propugna, è l’altra faccia del liberismo e non ha nulla a che fare con il governo consapevole della presenza e delle attività (globali e locali) dell’uomo.

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