[12/09/2006] Comunicati

Ruffolo: non può esistere una società in crescita (economica) continua!

Dal dibattito che la scorsa settimana greenreport.it ha ospitato, attraverso le interviste ad alcuni interpreti dell´ambientalismo italiano sui temi del surriscaldamento e del degrado del pianeta, emerge la necessità e l´urgenza di mettere mano a politiche economiche in cui queste problematiche siano prioritarie e implementate. Urge una integrazione fra politiche economiche e politiche ambientali, insomma.

Leggendo però tra le righe del dibattito sul futuro del socialismo e della sinistra (che si propone di darsi strumenti per governare il futuro della globalizzazione), che si è aperto nei giorni scorsi sulle pagine del quotidiano La Repubblica, non sembra poter cogliere da parte di nessuno, fatta eccezione forse per alcuni passaggi nell´intervento di Alfredo Reichlin, il richiamo a questa priorità.

Abbiamo allora chiesto a Giorgio Ruffolo, Presidente del Centro Europa Ricerche (Nella foto), di fare assieme a noi una riflessione su questo argomento.

Ma può esistere un nuovo progetto di sinistra oggi che non tenga conto della sostenibilità? E se la sostenibilità non trova cittadinanza in un progetto di sinistra, come potrà essere possibile parlare di progetto per il futuro?
«La risposta è no, chiaramente. Il fatto è che un nuovo progetto di sinistra deve obbligatoriamente e innanzitutto, dare risposta ad un domanda sostanziale: ma che razza di capitalismo abbiamo di fronte e che tipo di problemi ci pone? Io credo allora che la sostenibilità in un nuovo progetto di sinistra debba esserci non solo dal punta di vista ecologico, ma anche sociale e morale.
Andiamo per punti. Che significa sostenibilità dal punto di vista ecologico. Se il "turbocapitalismo", per usare la definizione di Edward Luttwach, ha messo in atto delle tendenze che possono pregiudicare a medio o a breve termine la sopravvivenza delle specie, dal punto di vista della natura il problema non si pone. Non è un problema della natura se l´uomo sarà destinato più o meno a processi di estinzione; il pianeta è ben più antico della specie umana e può quindi prescindere dalla nostra presenza. Il problema è semmai in che modo si potrà mantenere la sopravvivenza della specie umana, o meglio a quali costi noi possiamo rientrare nei limiti di una compatibilità con la natura.

Il problema da porsi è quindi su quali sono i costi di questo sviluppo e se possiamo continuare con una crescita come questa, che è incompatibile con tanti aspetti, non tanto per la quantità di risorse, ma per l´equilibrio con cui ci stiamo».

Ma anche il limite delle risorse è un problema per la sostenibilità.
«Il limite delle risorse è un concetto un po´ arbitrario. Non si sa bene quali e quante siano, perché il loro limite è stato spesso rivisto spostandolo sempre più in avanti.

Per introdurre le tre tipologie di sostenibilità in un nuovo progetto per il futuro, dobbiamo allora dare risposta a queste domande: quali sono gli equilibri biologici che abbiamo pregiudicato e tra questi rientrano sicuramente il surriscaldamento del pianeta, la rarefazione dello strato di ozono, la erosione della biodiversità.

E poi non bisogna chiedersi tanto quanto possiamo saccheggiare il nostro pianeta, piuttosto sul perché dobbiamo farlo: qui nasce il problema morale. Non può esistere una società in crescita continua. La crescita economica è iniziata nel ´700 e non può continuare a lungo senza pregiudicare il nostro rapporto con la natura. Ovviamente l´economia ha bisogno di raggiungere un equilibrio.

Gli economisti classici lo definiscono lo steady state, che non è uno stop alla crescita, ma il raggiungimento di uno stadio di equilibrio, che definirei dinamico.

Uso una metafora per spiegarmi meglio. E´ la stessa differenza che c´è tra uno stagno e un lago. Entrambi hanno una superficie delimitata, ma lo stagno è uno spazio chiuso in cui l´acqua non ha ricambio e quindi è destinato a marcire.

Il lago è uno spazio in cui si immettono dei fiumi e da cui altri fiumi ripartono, quindi l´acqua in un lago si rinnova continuamente.

Quindi noi dovremmo porci come obiettivo non una crescita illimitata, ma uno stadio di equilibrio dinamico. Questo intendo per steady state».

Quanto secondo lei l´innovazione tecnologica rivolta ai temi della sostenibilità potrà aiutare un processo di questo tipo?
«Un processo di equilibrio dinamico sarà possibile solo se adottiamo tecnologie che non siano distruttive dell´ambiente in maniera irreversibile.

Per esempio le energie rinnovabili sono tecnologie che ben si adattano alla crescita in equilibrio dinamico: permettono di mantenere le risorse in equilibrio, acconsentendo al tempo stesso a una crescita.

Del resto il secondo principio della termodinamica dice che i sistemi sono destinati all´entropia, quindi la crescita non si deve fermare. Il problema dell´economia è il fatto che deve rientrare nel controllo ecologico.

Quindi l´economia deve rientrare nei limiti quantitativi della sostenibilità ecologica.

C´è poi il problema di rientrare nella sostenibilità sociale. La crescita illimitata ha infatti anche un fortissimo e negativo impatto sulla coesione sociale.

La società si sgrana sempre di più tra una fascia di ricchi e potenti che sono in pochi e stanno avanti, e una massa di persone, il nuovo proletariato lo potremo definire, che si staccano dall´altra parte. Come in una maratona, in cui c´è il gruppo di testa ,costituito da pochi, che arriva prima e poi successivamente il blocco che ci mette molto più tempo ad arrivare al traguardo.

E infine l´economia deve rientrare anche nei limiti della sostenibilità morale.

Il capitalismo aveva una sua legittimazione etica nel fatto che l´aumento del benessere in termini verticali, doveva poi costituire anche un allargamento del benessere in senso orizzontale. L´aumento della torta avrebbe infatti dato la possibilità a tanti di partecipare alla sua spartizione e più grande era la torta, maggiori sarebbero state le possibilità di distribuirla. Ma questa redistribuzione però non si vede mai».

Quindi lei sostiene che sia decaduta la base di legittimazione del capitalismo storico?
«Esattamente e questo rende estremamente fragile non solo l´economia ma anche l´etica del capitalismo e fa diventare l´occidente vulnerabile rispetto ai pericoli e alle minacce che incombono sulla nostra società. A partire dal terrorismo.

Il grande "ri-discorso" sul socialismo che viene riproposto all´incirca ogni vent´anni si deve interrogare su queste cose.

La domanda se il socialismo è morto o vivo o in stato vegetativo è infatti un buon tema per le inchieste, ma non è certo interessante per un vero progetto di futuro. Giolitti l´aveva già detto più di un secolo e mezzo fa che il socialismo era morto.

La domanda da porsi è piuttosto qual è l´esigenza di coesione della società di oggi. Questa è il quesito fondante per un progetto di sinistra del futuro».

Dal dibattito in corso in questi giorni, però di una domanda di questo tipo non c´è traccia. Invece mi sembra che lei sostenga che anche la sostenibilità stia dentro all´esigenza di coesione della società?
«Certo che lo è. Io credo che anziché cercare di ridisignare un nuovo progetto per il futuro usando le vecchie carte geografiche dei confini dei partiti, bisognerebbe capire quali sono le tendenze che abbiamo di fronte, decidere quali accogliere, e quali rifiutare e avere gli strumenti e le risposte per definirne di nuove.

Dobbiamo stabilire in che modo possiamo definire in termini concreti il nuovo compromesso storico tra democrazia e capitalismo.

Questo compromesso c´è già stato negli anni 50-60, quando si è creato il controllo dell´economia da parte dello Stato. Poi il processo di globalizzazione l´ha fatto saltare, e quindi dobbiamo chiarire come e in che modo possiamo ristabilire i termini di questo patto.

Dobbiamo chiederci noi se siamo morti o vivi, non se lo è il socialismo.

Il socialismo è una istanza che come il cristianesimo o l´illumismo non muoiono a seconda degli articoli che qualche personaggio o qualche politico possono scrivere dalle colonne di un giornale».

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