[11/09/2006] Consumo

L´Italia che conta va in Cina, ma il rischio è l´atteggiamento mordi e fuggi

ROMA. La delegazione italiana che al seguito del Presidente Prodi mercoledì si trasferirà in Cina, sta preparando i bagagli. Della nutrita compagine composta da circa 500 persone fanno parte dodici regioni fra cui anche la Toscana, guidata dal suo Governatore Martini. Nelle valigette dei politici e degli imprenditori che cercheranno di portare il Made in Italy nel paese emergente per antonomasia, ci saranno soprattutto beni di consumo per un mercato del lusso che può offrire alle nostre aziende sicuramente interessanti proventi, e molte speranze legate in particolare al futuro per i legami che possono nascere tra piccole e medie imprese.

In occasione della terza edizione della fiera delle piccole e medie imprese cinesi che è programmata a Canton dal 15 al 18 settembre 2006, anche il Polo Sant’Anna Valdera di Pontedera ospiterà alcune videoconferenze e business matching tra imprese italiane e cinesi dal titolo “Selection of Tuscan industrial districts: overviews, companies presentations and matching”.

Gli incontri, che si terranno il 15, 16 e 18 settembre 2006 presso la segreteria di direzione in viale Rinaldo Piaggio 32, sono organizzati dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, anche in collaborazione con l’Istituto per il Commercio Estero, come opportunità di collegamento e di conoscenza reciproca tra imprese italiane e cinesi.

Abbiamo colto l’occasione per rivolgere alcune domande a Nicola Bellini, che è direttore del laboratorio di ricerca Insat della Scuola Superiore S.Anna e del corso “Società ed economia nella Cina contemporanea”, fatto insieme all’università di Chan Ching.

Professor Bellini, non le pare che le imprese italiane siano un po’ in ritardo nel presentarsi nel mercato cinese, soprattutto nel campo della innovazione tecnologica?
«Sono poco preoccupato del ritardo del passato, quanto del presente. Speriamo infatti che questa delegazione sia un momento di riflessione sulle modalità con cui ci presentiamo in questo grande Paese, nel senso che il nostro è in genere un atteggiamento mordi e fuggi. Se pensiamo cioè di sbarcare e grazie al Made in Italy di portare a casa grandi risultati, sarà sicuramente proficuo per quelle imprese che hanno da offrire beni di consumo soprattutto di lusso, ma non avremo capito le grandi opportunità che abbiamo di fronte e che possono farci traghettare nel futuro con grandi e importanti risultati».

Vuol dire che quindi potremmo avere ancora delle chances nel campo delle tecnologie? e quali?
«Sicuramente nel settore ambientale esiste una grande domanda da parte della Cina. E’ un paese che sta facendo grandi passi avanti, che fa grandi investimenti, e che sta crescendo a ritmi per noi difficilmente immaginabili. E quindi tra le loro preoccupazioni, tra le loro richieste vi sono proprio quelle legate ai problemi dello sviluppo, agli impatti delle infrastrutture e al degrado dell’ambiente. Noi collaboriamo con l’Università di Chan Ching, che è la città che sta crescendo più rapidamente al mondo. Ha già 32 milioni di abitanti e lì i problemi non sono quelli di avere qualche negozio in più, ma quelli dello sviluppo e delle infrastrutture. I cinesi ci chiedono conoscenze, tecnologie e offrono in cambio risorse importanti; sicuramente nei mercati interni, ma soprattutto negli accordi e negli investimenti esteri. La Cina è un paese che compra, sicuramente beni di consumo ma anche sapere e tecnologie. Il tema ambientale ci viene chiesto molto dalla Cina, peccato che sino ad ora le nostre risposte sono state poche e poco efficaci. Si è lasciato molto ad altri Pesi europei, che hanno avuto un atteggiamento più paziente, sono stati molto più disponibili ed aperti rispetto a noi a conoscere e a farsi conoscere. Ci sono andati a vivere, non solo a colonizzare. Se noi pensiamo di andare là con la valigetta, fare i contratti e tornare a casa, sicuramente avremo poco futuro».

Ma sarà che i nostri rapporti sono iniziati male per i rapporti di competizione con alcuni mercati, quale quello tessile per esempio?
«Sicuramente ci portiamo dentro un senso di angoscia nel rapporto con la Cina, ma anche loro vivono un senso di colpa nei nostri confronti per tutta la vicenda legata al mercato delle contraffazioni dei marchi. Ne potremmo approfittare come dovremmo cogliere il loro interesse a tutto ciò che diversifica le loro opportunità di conoscenza. E sicuramente parlare loro di ambiente e di tecnologie innovative legate all’ambiente apre molto di più le loro porte che non i mercati legati al consumo».

Torna all'archivio