[06/09/2006] Rifiuti

Sui rifiuti la pietra filosofale non esiste ancora

ROMA. Oggi è la giornata mondiale contro gli inceneritori, sostenuta in Italia da GreenPeace, Rete nazionale rifiuti zero e a cui ha aderito anche il Wwf. Questo significa ribadire da parte di queste associazioni il no secco a tutte le forme di combustione dei rifiuti e il rilancio di quelle strategie da tempo indicate come la soluzione alternativa al problema della gestione dei rifiuti.

Ovvero una raccolta differenziata spinta, il successivo trattamento a freddo del resto che rimane, che significa una selezione dei rifiuti non differenziati per scindere la parte ancora potenzialmente riciclabile dalla parte umida non più invece destinabile a compostaggio e, per quello che rimane, l’allocazione in discarica.

L’obiettivo è naturalmente quello di portare a smaltimento la minor quantità possibile di scarti, ma comunque sia una parte dovrà comunque essere destinata alla discarica.

Il motivo fondamentale dell’avversione a qualsiasi trattamento che preveda una fase di combustione è il fatto che le emissioni di questi impianti siano fortemente dannosi per l’ambiente e per la salute, in particolare per il contributo dato dagli inceneritori alla formazione di nanoparticelle, che come ha ribadito anche dalle pagine di Greenreport il dottor Montanari, sarebbero assai lesive per l’organismo umano.

La necessità di optare per il trattamento a freddo dei rifiuti in alternativa al loro incenerimento è stata da tempo ripresa come strategia da seguire, oltre che da molti comitati contro gli inceneritori anche da partiti politici, quali Verdi e Rifondazione Comunista, in particolare in Toscana, ma anche in altre parti del Paese. E su questa possibilità si è pronunciato favorevolmente anche l’assessore all’ambiente regionale Artusa, indicando la necessità di approfondire una sperimentazione e un approfondimento su questo tipo di trattamento.

Il dibattito imprescindibile, rimane comunque su quale debba essere la destinazione finale della parte residua che rimane dopo aver messo in pratica tutte le fasi che a partire dalla riduzione, passano dalla raccolta differenziata e dal riciclaggio, che sarà minima solo se tutti questi passaggi verranno fatti in maniere efficiente. Ovvero, discarica o incenerimento con recupero energetico.

Anche quello che sembrerebbe l’uovo di Colombo, presentato ieri al Senato dal Consigliere toscano Roggiolani e responsabile per l’innovazioni dei Verdi, di ritorno da una visita ad un impianto in Islanda, in realtà non prescinde da questo interrogativo finale.

Anzi capovolge la situazione: il tipo di impianto illustrato da Roggiolani, salta infatti appieno il trattamento meccanico biologico, cosiddetto trattamento a freddo, e porta tutto, metalli compresi, ad un trattamento termico, con produzione di gas che potrà a sua volta essere utilizzato per produrre energia elettrica.

Questo tipo di impianti sfruttano infatti un processo chimico –la pirolisi- a bassa temperatura e quasi in totale assenza di ossigeno, in cui avviene la scissione delle molecole organiche con produzione di gas di sintesi, detto syngas. Questo gas è composto essenzialmente da idrogeno, monossido e ossido di carbonio, e vari altri prodotti in percentuali che dipendono dalla natura dei rifiuti immessi e prima di essere utilizzato come combustibile deve subire a sua volta un trattamento per separare le polveri e per estrarre ulteriori particelle metalliche che si formano nel processo. Tutto ciò che non è scisso dal processo di pirolisi si ritrova come coke di pirolisi, una sorta di carbonella che può essere utilizzato o come combustibile in processi industriali o dopo un trattamento di inertizzazione allocato in discarica.

Quindi siamo di fronte ancora una volta ad un processo di combustione, alla formazione di polveri che devono essere adeguatamente trattate e a materiale di scarto che avrà bisogno di una discarica, oltre naturalmente ad aver ottenuto un combustibile.

Questo non significa certo che il trattamento di pirolisi sia un processo da scartare a priori, come del resto lo dimostra il fatto che analogamente agli altri processi di trattamento vi sono esempi più o meno diffusi di utilizzo nel resto d’Europa e del mondo.

E’ evidente che nella scelta di un processo piuttosto che un altro devono essere utilizzati criteri che tengono conto delle caratteristiche del territorio, del tipo di organizzazione logistica, delle economie. E sarebbe inoltre assai opportuno utilizzare anche strumenti di natura scientifica ormai finemente avvalorati, come ad esempio le Lca tra un sistema e un altro, bilanci ambientali, analisi costi- benefici. Insomma prima di indicare il “metodo”, il “trattamento” da seguire, chiedendo addirittura che venga assunto come “tecnologia nazionale” (almeno così può essere letta la richiesta di Roggiolani di inserirlo in un inesistente piano nazionale dei rifiuti) prima insomma di intraprendere opzioni rigide in sistemi complessi quale quello della gestione dei rifiuti, sarebbe necessario valutare qual’è la scelta che risponde meglio ad ogni determinata situazione. Purtroppo “la pietra filosofale” non l’ha ancora inventata nessuno. E quando si parla di rifiuti non bisogna mai dimenticare il secondo principio della termodinamica e il concetto di entropia (o di degradazione della materia). Ma la discussione di questi giorni sulla necessità di riprendere la crescita e i consumi sembra che sia un´altra storia dal problema dei rifiuti. Non lo è, e nessuno si incarica di dirlo.

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