[21/08/2006] Consumo

Ferie low cost e ferie al supermercato tra moda e pubblicità

LIVORNO. In questi giorni i giornali hanno titolato: “Cattivo tempo, tutti in ferie nel centro commerciale”. Lo scorso anno invece i titoli erano: “Caldo torrido, la gente si rifugia nei supermercati”. La contraddizione non c’è, i vari Ipercoop, Carrefour, Esselunga, Auchan dominano la vita ormai di ogni città, ma quello che di solito i media non evidenziano e l’opinione pubblica non legge è il nesso con la sostenibilità ambientale.

Io vado all’Ipercoop perché piove, perché fa troppo caldo o semplicemente per passare il tempo. Già che ci sono acquisto, e acquisto qualcosa che al momento non mi serve, pensando “tanto poi lo userò”. E in questo modo stiviamo dispense, frigoriferi e armadi di merci destinate poi in parte a essere sottoutilizzate o non utilizzate proprio, accorciando enormemente la vita di una merce e la sua trasformazione in rifiuto. Tutti ne sono contenti, compresi i governanti e gli economisti, che vedono muoversi il Pil ma non vedono crescere la montagna di rifiuti da smaltire poi in qualche modo e da qualche parte(ovunque, basta che non sia nel proprio giardino).

Del resto il far acquistare sempre di più è un must dell’economia, che per raggiungere tale obiettivo utilizza tutti i metodi, in primis la pubblicità e la moda. Ed ecco che proprio dalla moda potrebbe venire un aiuto (spesso involontario!) all’ambiente. Per esempio oggi la tendenza è quella del low cost, tutto deve essere low cost, dal viaggio in aereo ai vestiti vintage, dal car sharing alle telefonate gratuite via pc con Skype. La rivoluzione del low cost è partita dai bisogni essenziali, quelli alimentari, tanto che una recente indagine di Confcommercio ha evidenziato come il 55% delle famiglie italiane si reca almeno una volta al mese al discount.

Ma il low cost è davvero tutto così rosa?. Se è vero che esistono movimenti internazionali con clamorosi boicottaggi contro le multinazionali che sfruttano il lavoro dei bambini, una simile azione di protesta non può esserci contro l’aziendina cinese Xxx, che al pari della multinazionale esporta in occidente scarpe confezionate da bambini che vengono vendute a 10 euro al paio.

La speranza allora è che la tendenza low cost si sdogani velocemente dal solo risparmio economico e si integri sempre di più – come in parte sta già avvenendo – con una sensibilità che può andare dall’ecologia alla socialità: crescono i casi di car sharing, i gruppi di acquisto solidale, comunità di amici e vicini che organizzano spese collettive rifornendosi dai piccoli produttori locali, così come sono ormai 65mila gli iscritti alle comunità virtuali che promuovono gli scambi di ospitalità nelle più svariate forme.

La tendenza cambia le abitudini, rivoluziona stili di vita, definisce generazioni. Il problema è che la pubblicità fa altrettanto, e cento volte di più. Ma è proprio impossibile pensare ad un ruolo diverso della pubblicità? E´ proprio impossibile pensare alla promozione di pubblicità che indirizzi verso la sostenibilità e il consumerismo eco-etico? Siamo proprio sicuri che su questo terreno le istituzioni non possano fare nulla? O si pensa che, come dice la UE, il "disaccoppiamento fra crescita del Pil e sostenibilità" sia un obiettivo del mercato?

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