[21/08/2006] Parchi

Biodiversità, caccia selettiva e concezioni disneyane della natura

LIVORNO. Caprioli e cinghiali da abbattere, lupi cattivi da salvare, mucche neozelandesi ad effetto serra e con flautolenze da ridurre, insetti e serpenti trattati sempre come pericolosi estranei, pesci clandestini che colonizzano il mediterraneo e meduse viste come rifiuti pericolosi… A leggere le cronache estive ci si rende conto che la percezione della vita animale, e del rapporto dell’animale uomo con la natura, cambia a secondo della specie, della “bellezza” e somiglianza con la specie homo sapiens.

Si pensi solo a come è cambiata la percezione del lupo, e dei predatori in generale: da animali pericolosi e “cattivi” per antonomasia a specie da tutelare. Ma si pensi anche all’approccio di alcuni animalisti che escludono ogni intervento di abbattimento selettivo di cinghiali, caprioli, daini e mufloni in sovrannumero nel nome di una eticità del non uccidere che non trova corrispondenza in natura e che, di fatto, condanna altre specie animali e vegetali che subiscono l’azione di questi animali alla rarefazione fino all’estinzione.

L’appellativo sbagliato di “bambi” dato ai caprioli (il Bambi del cartone animato è in realtà un cucciolo di cervo) la dice lunga sulla visione disneyana ed idilliaca della natura che molti hanno, una natura da paradiso terrestre che non esiste e che l’uomo ha “denaturalizzato”, soprattutto in posti fortemente antropizzati come l’Italia, per trasformare il territorio a sua immagine e commettendo errori clamorosi, quasi sempre legati alla caccia, come l’introduzione di cinghiali di origine centroeuropea e di altri ungulati che hanno fortemente alterato gli equilibri ambientali di molte aree, mettendone a rischio una biodiversità già compromessa dal precedente sterminio dei predatori naturali.

Ma questa visione disneyana (della quale non sembrano far parte animali “brutti” ed alieni come zecche, meduse, ragni, serpenti…) e l’allontanamento dell’animale uomo dai cicli naturali, rischiano di farci dimenticare che lì dove l’uomo ha causato il danno probabilmente deve anche ripararlo. Così l’introduzione dello scoiattolo grigio americano in Piemonte ha provocato la sparizione dello scoiattolo italiano e nel Parco dell’Arcipelago Toscano i cinghiali, introdotti a scopo venatorio negli anni ’60, stanno mangiandosi tutti i piccoli rettili, gli anfibi, le orchidee che l’area protetta dovrebbe difendere e la più grossa lepre europea ha soppiantato la lepre italica.

Certo, è più facile e popolare cercare una nuova dieta per diminuire il metano intestinale delle gassose mucche neozelandesi che intervenire su una popolazione di caprioli dolci e mansueti, ma dal punto di vista della salvaguardia dell’ambiente i due interventi hanno la medesima importanza, ed anzi, porre fine allo stress ambientale causato dagli ungulati in alcune aree protette ha per quie parchi un’urgenza ed una contingenza ancora maggiori.

L’uomo ha creato - soprattutto con introduzioni sbagliate, lotta ai predatori considerati “nocivi”, gestioni ed introduzioni faunistiche folli - un’alterazione di molti habitat e lasciar fare ad una natura alterata non sembrerebbe la migliore soluzione. Abbiamo sbagliato, anche per colpa di un’ignoranza dei meccanismi naturali che oggi non ha più alcuna scusante, ora dobbiamo porre rimedio, anche con metodi come gli abbattimenti selettivi, purchè siano davvero selettivi, efficaci, non inutilmente crudeli e non si trasformino in una nuova forma di caccia “a rate”, in un premio per chi ha contribuito ad alterare l’equilibrio e la biodiversità.

Quello che ci sembra manchi in tutta questa discussione è il dopo: come dopo gli abbattimenti o le catture e gli spostamenti degli ungulati si ricostruirà (dappertutto) l’armonia e l’equilibrio fra le specie, uomo e predatori compresi?

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