[03/07/2006] Recensioni

La recensione - Ecopsicologia di Marcella Danon

Ecologia e psicologia. “Pure lavorando una sul particolare e l’altra sul generale, una sull’individuo e l’altra sull’ambiente, queste due scienze insieme hanno molto da dirsi e da darsi per raggiungere entrambe lo stesso obiettivo: garantire un futuro all’uomo sulla terra”. Parte ovviamente da questa convinzione il testo di Marcella Danon, psicologa e giornalista che, agli inizi del 2000, ha fondato e dirige la scuola di ecopsicologia in Italia.
A dire il vero, la citazione di Renè Dubos in apertura del primo capitolo lascerebbe intendere uno svilupparsi della riflessione tutto incentrato sulla cosiddetta “pedagogia delle catastrofi” (….la forza delle circostanze costringe l’uomo a inventare situazioni nuove) su cui confidano non pochi seguaci della cosiddetta “ecologia profonda”.
Invece gran parte del libro è impegnata nell’argomentare, davvero convincente, il rapporto stretto, biunivoco si potrebbe dire, fra salute psicofisica dell’uomo e salute del pianeta in cui vive.
La psicologia, secondo Danon, ha bisogno di svegliarsi e di riconoscere di non poter più studiare e curare l’uomo senza mettere in connessione i malesseri della sua anima con il disequilibrio ambientale. Per converso, il bisogno dell’ecologia, invece, è quello di riconoscere il ruolo e l’importanza dell’uomo ( e della donna, come si spiegherà in un intero capitoletto) all’interno dell’equilibrio ambientale.
Nell’evidenziare i nessi di un rapporto fecondo tra “eco e psiche” si osserva anche che “molta della strategia ambientalista pecca per mancanza di psicologia e attua campagne di sensibilizzazione improntate su colpevolizzazione e catastrofismo senza capire che, così facendo, si attivano meccanismi di difesa a livello psichico che producono l’effetto opposto e allontanano molte persone dall’attenzione verso problemi che sollevano più ansia di quanto esse siano pronte a gestire”. Perciò, secondo l’autrice, è importante “fare leva sul coinvolgimento più che sul senso di colpa, sull’amore più che sulla giustizia, sul potere di ogni singolo individuo come alternativa al catastrofismo”. Insomma l’ecopsicologia si pone (anche) come aiuto per l’elaborazione di eventi e strategie di comunicazione che puntino sul positivo-individuale per produrre quei necessari cambiamenti molecolari sia sulla sfera del consumo che su quella, di conseguenza, della produzione. “Fare come se dipendesse da noi”, diceva una vecchia massima sessantottina ripresa con forza dal femminismo e poi dal pacifismo e poi dal consumerismo equosolidale e sostenibile. Perché “possa dipendere da noi”, secondo l’autrice, occorre “risvegliare il nostro inconscio ecologico” occupandosi prima dei propri equilibri interni….lavorando sulla crescita personale…. e poi intraprendere azioni e iniziative su scala locale, in ambiti a misura d’uomo”.
La parte effettivamente più convincente nello svilupparsi del ragionamento della Danon è proprio quella relativa alla necessità di emancipare l’ecologia da branca della biologia quale essa è nata a “scienza delle relazioni”, a scienza cioè dell’insieme. I limiti di un eccessivo specialismo stanno portando alla perdita di senso del malessere complessivo: del pianeta come dell’uomo. Un excursus, anche un po’ ridondante, sulle origini della vita e del pianeta rende bene ragione della posizione dell’uomo, sia nello spazio che nel tempo. “Se proviamo a riassumere tutta la storia del pianeta in 24 ore………l’homo sapiens fa la sua apparizione pochi secondi prima della mezzanotte e gli ultimi 5.000 anni di storia documentata occupano quattro millesimi di secondo……..la stella a noi più vicina, Proxima Centauri, dista poco più di 4 anni luce, la galassia più vicina, il cane Maggiore, ne dista 25.000”. Ovvio quindi che ci sia da ri-centrare il senso del nostro stare al mondo e, dentro questo ri-centramento, lo sforzo individuale del chiedersi, ognuno di noi, “qual’è la responsabilità del singolo nel fare la sua rivoluzione molecolare”, è cosa di assoluta importanza e urgenza. Del resto, come confessa l’autrice, in un certo senso “l’ecopsicologia non inventa nulla di nuovo, raccoglie riunisce e collega tra di loro pensieri e messaggi……coglie la necessità dello sviluppo di un nuovo atteggiamento nei confronti dell’ambiente e di comportamenti più ecosostenibili, da una parte, e il bisogno di dare un senso più vasto alla propria vita”. Insomma, collega tra loro malessere dell’ambiente e malessere dell’individuo attraverso l’indicazione, anche minuziosa, quasi manualistica, del lavoro “interno” che ognuno di noi deve fare per raggiungere l’equilibrio d’insieme necessario per raggiungere relazioni ottimali con gli altri uomini e con la natura.
Ma in questa impostazione rimane uno spazio ignorato o, al minimo, non messo bene a fuoco: il ruolo delle organizzazioni degli uomini . Tutto è lasciato al lavoro interno, alla testimonianza in prima persona, alla scala locale e a “misura d’uomo”, al miglioramento delle relazioni interpersonali e con la natura. E’ certamente vero che la “situazione è tale che non possiamo permetterci di stare ad aspettare che la soluzione ai problemi ecologici del nostro tempo venga dall’alto, che venga proposta o imposta dai governi”, ma non è meno vero che non si può aspettare che tutti “si sveglino a una più ampia visione della vita e del mondo”.
L’aveva già detto qualcuno, agli albori della rivoluzione industriale, che “quando dieci, venti, cento, mille persone cominciano a pensare in un modo diverso ( prendere coscienza della propria condizione…), e quindi a comportarsi in modo diverso” le cose possono cambiare, ma questo qualcuno, ( e, in questo, assolutamente non smentito dalla storia) individuava la necessità dell’organizzarsi e dell’organizzazione come qualcosa che avesse la capacità ( e desse il coraggio) di agire “dal basso e dall’alto”, da fuori e da dentro il potere costituito. Potere costituito che, sarà bene ricordare, oggi sta sempre meno nella politica e nelle istituzioni e sempre di più nelle 74.000 multinazionali che tendono ad asservire ( o lo hanno già fatto?) sia la prima che le seconde. Come è stato giustamente e più volte osservato il motto “proletari di tutto il mondo unitevi” alludeva alla difesa di una mondializzazione capitalistica in fieri ma era ben lungi, ovviamente, dal pensare a quella, banale quanto grottesca, situazione affermatasi oggi a livello globale e per la quale sono la politica e le istituzioni che sono asservite alla economia. Quell’economia che, essendo fisicamente un sottosistema della natura, dovrebbe esserlo anche della politica (proprio intesa come polys) e, invece, agisce come sovrasistema basandosi proprio su ciò che è stato definito “l’epicentro della modernità”: l’individualizzazione della società. Senza disconoscere il contributo e il valore individuale che ad un riequilibrio fra uomo e natura può dare l’ecopsicologia, noi non abbiamo dubbi però, che senza un “nuovo agire collettivo” e organizzato questo obiettivo sarà molto difficile, se non impossibile, che venga raggiunto.

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