[16/06/2006] Urbanistica

Versilia, un bilancio critico dieci anni dopo l´alluvione

FIRENZE. Dieci anni fa, il 19 giugno 1996, una valanga di fango sommerse i paesi di Cardoso e Fornovolasco, sconvolse l’Alta Versilia e la Garfagnana causando morti e molte migliaia di euro di danni. Il percorso intrapreso per la ricostruzione fu rapido ed efficiente tale da diventare un modello denominato appunto «Versilia». Abbiamo voluto chiedere un parere su quell’evento a Giuseppe Sansoni esponente «storico» di Legambiente di Carrara.

Dopo l’alluvione in Versilia i tempi di risposta delle istituzioni furono rapidi: nomina del Presidente della Regione come Commissario straordinario, apertura di un ufficio regionale a Pietrasanta sui luoghi del disastro, presentazione di un piano di interventi pubblici urgenti pronto dopo nemmeno un mese dall´alluvione che prevedeva le prime sistemazioni idrogeologiche, rapidità dei finanziamenti. Non c’è dubbio che si sia fatto presto e quel modo di procedere è diventato anche un «modello». Dopo dieci anni, con la sistemazione definitiva dei territori e la nuova configurazione degli alvei fluviali (in particolare del Versilia) si può dire che si è fatto anche bene?

«In effetti, dal punto di vista dell’efficienza amministrativa e del coinvolgimento degli Enti locali si può parlare con orgoglio di “modello Versilia”. Dal punto di vista sia ambientale che della prevenzione di futuri disastri, invece, il modello Versilia è impresentabile. In sintesi: se spesso dopo le catastrofi si opera “tardi e male”, in Versilia si è fatto “presto e male”. E’ meglio del peggio, ma non è cosa di cui andar fieri. Nonostante le pressanti richieste di Legambiente, infatti, le soluzioni operative hanno subordinato prevenzione e sicurezza alla rendita fondiaria. Nemmeno dopo quella catastrofe, infatti, si è avuto il coraggio di restituire spazio al Versilia, per non sottrarre terreni agli appetiti edificatori. Per citare solo un esempio emblematico, non si è avuto il coraggio di ribassare gli argini (abusivi) del campo da golf, preferendo di fatto esporre all’inondazione l’abitato del Cinquale anziché il golf. Non deve sorprendere perciò il fatto che oggi tutta l’asta principale, dalla sorgente alla foce, sia ridotta ad un canalone stretto tra muri ed argini: è stata una scelta lucida, come Legambiente denunciava inascoltata 10 anni fa».

475 millimetri di pioggia caduti in 12 ore sono un evento eccezionale. Eventi simili sono fuori dalla portata di qualsiasi messa in sicurezza o oggi si può stare più tranquilli in quell’area?

«Nell’alta Versilia le precipitazioni furono assolutamente eccezionali; anche oggi un evento analogo non sarebbe certamente indolore, ma comunque molto meno doloroso di allora. Tuttavia va osservato che le precipitazioni eccezionali interessarono aree ristrette, mentre nel basso Versilia (insufficiente anche per piene trentennali) transitò una piena con tempo di ritorno circa centennale, dunque non proprio “normale”, ma perfettamente prevedibile. Anche nel basso Versilia i lavori eseguiti (scavi e argini) hanno ridotto sensibilmente la probabilità d’inondazione, ma non è detto che ciò si traduca in una riduzione del rischio. Ad esempio, se la probabilità d’inondazione diminuisce di 3 volte, ma si edificasse nelle aree “messe in sicurezza”, aumentando di 6 volte il valore dei beni esposti, il risultato sarebbe un raddoppio del rischio! Perciò, la nostra futura tranquillità dipende dalle scelte degli amministratori: se dovessero prevalere scelte urbanistiche di edificazione nei terreni perifluviali, il risultato di tutti gli sforzi compiuti sarebbe un ulteriore aumento del rischio. Purtroppo non mi pare che questo aspetto riceva l’attenzione che meriterebbe».

La messa in sicurezza dei territori anche quando viene effettuata con interventi preventivi, spesso e purtroppo, va a scapito della salvaguardia e riqualificazione degli ecosistemi fluviali. Che segnale arriva dalla Versilia?

«Un pessimo segnale, purtroppo perfettamente in linea con l’impostazione dominante a livello nazionale. Si continua in una miope ottica mono-obiettivo, ad esempio la sicurezza a discapito di tutto o, volendo essere cattivi, l’edificabilità a discapito anche della stessa sicurezza, anziché multiobiettivo. Eppure restituire spazio ai fiumi sarebbe conveniente per la comunità: più ambiente, più sicurezza, meno spese. Non soddisferebbe, invece, le aspettative dei proprietari dei terreni lungofiume. Ma chi vogliamo privilegiare?»

Quali sono ancora oggi le maggiori criticità dei corsi d´acqua della zona sia sul fronte rischio idraulico, sia per gli aspetti quali-quantitativi?

«La criticità assolutamente principale è l’artificializzazione dei corsi d’acqua, quasi tutti rettificati e soffocati entro stretti argini. Se vogliamo che i fiumi ci restituiscano sicurezza, naturalità, qualità delle acque e della vita dobbiamo restituire loro almeno una parte dello spazio che abbiamo usurpato nel tempo».

(Nella foto: il paese di Cardoso pochi giorni dopo l´alluvione)

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