[13/07/2009] Recensioni

La recensione. Parchi fluviali e bacini idrografici: esperienze europee

Su questo argomento greenreport si è già speso quasi una anno fa quando proprio in occasione del convegno che ha fornito poi il titolo al volume che presentiamo, ha dato voce ad alcuni protagonisti ed esperti della materia, in primis a Renzo Moschini, Coordinatore del Centro Studi aree protette e ambienti fluviali, uno dei promotori di quell’iniziativa. Da pochi mesi sono stati pubblicati gli atti di quel convegno, in un bel libretto di poco più di 100 pagine, che riteniamo sia un buon strumento di lavoro e di conoscenza per chi opera nel settore, ma nello stesso tempo lettura piacevole per chiunque abbia a cuore gli ecosistemi fluviali, ne voglia garantire la tutela, conoscere le fragilità, le criticità e le proposte di riqualificazione che in chiave nazionale ed europea vengono fatte per superarle.

Nel volume, attraverso le varie esperienze italiane ed estere riportate, è stata confermata l’importanza della pianificazione e della gestione degli ecosistemi fluviali (in questo caso ma il concetto si può estendere anche ad altri ambienti naturali) da effettuarsi non in base ai limiti amministrativi ma seguendo i confini territoriali, che per i fiumi non possono che essere rappresentati dai bacini idrografici. Non c’è da inventarsi nulla: la “vecchia” legge 183/89 sulla difesa del suolo già prevedeva tutto, anche se qualcuno afferma che non è stata mai applicata interamente perché la norma stessa aveva dei difetti sul piano della tecnica legislativa che non ha permesso di finalizzare buoni principi. Questo può anche essere, ma di fatto le Autorità di bacino, che in base alla legge avevano importanti compiti di pianificazione, sono state esautorate togliendole funzioni e possibilità di azione non alimentandole finanziariamente, salvo dichiarare poi che l’ente sovraordinato che doveva garantire un corretto equilibrio tra tutela dell’ambiente naturale e costruito, nel rispetto della sicurezza idraulica, ha fallito il suo compito.

Del resto le Autorità di bacino sono rimaste “schiacciate” nella diatriba sulle competenze tra Stato e Regioni non risolta con la 183 e che addirittura pare acuirsi nel nuovo scenario. Con legge 13 del 27 febbraio 2009 tutte le Autorità di bacino nazionali sono state chiamate a coordinare la redazione dei Piani di gestione, ovvero quei piani che riguarderanno le attività dei futuri distretti idrografici (su argomenti molto importanti quali la difesa del suolo, tutela e gestione delle risorse idriche, prevenzione rischio idrogeologico, etc…), in base a quanto previsto dalla direttiva acque 2000/60 (recepita dal D.Lgs 152/06) e ad attivare da subito l’iter di consultazione e partecipazione pubblica così come previsti dalla direttiva europea stessa. La scadenza per il completamento dell’iter è fissata per il 22 dicembre 2009, altrimenti il nostro Paese cade sotto infrazione dal parte della Comunità europea e si perdono pure finanziamenti. Quest’ultima accelerata non è piaciuta a molte Regioni, Toscana in testa, che negli ultimi anni si erano viste limitare molte competenze in tema di difesa del suolo e per questo hanno effettuato il ricorso alla Corte Costituzionale sulla parte terza del decreto 152/2006.

Tra gli eccessi di federalismo da una parte e di centralismo “autoritario” dall’altra, in una panorama di frammentazione di competenze, nessuno può ricondurre in modo unitario i problemi e prendersi la responsabilità di decidere, pur a valle di un processo partecipato. E l’ambiente in generale e quello fluviale in particolare non ne trae vantaggio. In questo quadro un aiuto per tutelare i fiumi e il territorio di loro pertinenza sarebbe potuto arrivare dai parchi fluviali, se fosse stato attribuito loro lo “spazio” necessario per partecipare al processo di “pianificazione”. Ma ciò non si è verificato, almeno nel nostro Paese, anche se non mancano gli esempi virtuosi come emerge nel volume. Del resto la discussione sui destini dei parchi in generale, a cui greenreport nell’ultimo periodo dedica ormai uno spazio quasi quotidiano, è di piena attualità. I parchi non sono un orpello, come qualcuno pensa, un limite allo sviluppo. Sono territorio pubblico dove il sistema degli Enti locali può collaborare in modo sinergico per fare del parco un luogo di tutela (una dimostrazione viene proprio da quello di Montemarcello Magra (certificato ISO 14001 come la Comunità Montana della Val di Vara e i 17 comuni inseriti nella stessa valle e in Val di Magra), non ingessandolo ma favorendo in esso le attività compatibili e garantendo uno sviluppo durevole che passa dalla valorizzazione dell’ambiente come volano di innovazione, mantenimento delle identità culturali e crescita del turismo di qualità. Nei parchi fluviali si tutela la biodiversità, come con il progetto dei parchi del Po o si studiano specie particolari come con il progetto Natura P.A.R.C (Petromyzon And River Continuity), in cui si tutela la lampreda di mare riqualificando i suoi siti riproduttivi, per citare alcune esperienze riportate nel volume. I parchi fluviali quindi, devono rappresentare anche aree di studio dove si sperimentano tecniche innovative di riqualificazione, dove si fa ricerca, in cui i soggetti che fanno parte dell’Ente Parco, attraverso una vision comune, svolgono un’azione di governance del territorio. Ciò si deve attuare in sinergia con gli altri enti che operano nel sistema della pianificazione delle acque e in quella ordinaria per gestire il territorio in modo integrato dato che le imposizioni dall’alto non hanno quasi mai avuto un gran successo. Tra l’altro i parchi fluviali, solitamente a contrario delle altre aree protette, sorgono in territorio fragili, dove l’antropizzazione è evidente e ricevono poi gli impatti della parte di bacino che sta a monte. Ecco perché, come giustamente è stato più volte ricordato nei vari interventi riportati nel volume, è necessaria la collaborazione tra gli Enti gestori dei Parchi e le Autorità di bacino: lo stretto legame è ambientale dettato dalla morfologia territoriale e dallo scorrere delle acque da monte a valle.

Per riqualificare e per tutelare gli ambiti fluviali del nostro Paese un aiuto concreto può arrivare dall’Europa. Sul piano normativo si devono utilizzare tutte le sinergie possibili mettendo a sistema i principi e le indicazioni contenute nelle varie direttive europee: la 2000/60/CE (direttiva quadro sulle Acque), la 79/409/CEE (direttiva “Uccelli”), la 92/43/CEE (direttiva Habitat), come anche specificato nella relazione dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) riportata nel libro. Ma dall’Europa vengono anche esempi pratici su strumenti di governo efficace del territorio con un ruolo di rilievo assegnato ai parchi fluviali che attuano una vera politica dell’acqua e dell’ambiente in sinergia con le Autorità di bacino. Dalla Francia con l’esempio dei Contratti d’ambiente nel Parco della Camargue o dalla Spagna con la Pianificazione delle aree fluviali (Pef) in Catalogna, vengono proposte virtuose da cui prendere spunto. Qualcosa in Italia si sta muovendo in Lombardia, anche attraverso l’impegno della Regione, dove stanno prendendo forma i Contratti di fiume, strumenti di gestione interessanti che possono trovare applicazione all’interno dei distretti idrografici anche in bacini interregionali. In Toscana sicuramente non siamo all’avanguardia in questo settore: abbiamo fiumi importanti ma non parchi fluviali degni di questo nome. Si chiamano “parchi fluviali” tratti di fiume nei cui argini magari passa una pista ciclabile e sono inseriti cartelli con indicazioni naturalistiche. In una situazione molto fluida c’è ampio spazio di proposta sapendo che i parchi fluviali non sono certo la panacea per risolvere tutti i mali che affliggono i nostri fiumi, ma ambiti strategici in cui riacquisire il territorio, pianificare e programmare funzioni compatibili, sperimentare forme innovative di tutela, e fornire sponda adeguata al lavoro che devono svolgere le Autorità di bacino (auspichiamo “rivitalizzate”) in un territorio più ampio, per fermare il degrado dei corsi d’acqua come impone del resto la stessa direttiva europea 2000/60.

Torna all'archivio