[13/07/2009] Comunicati

Non tutti i G8 (o G qualcosa) vengono per nuocere

ROMA. Sembra che sia quasi diventato uno sport per la sinistra. Tanto più sei alternativo e “anti”, tanto più i G8 sono un fallimento clamoroso, disastroso e via aggettivando. Certo, può dar fastidio che il fiato corto della politica possa valutare come un “successo” il meeting dell’Aquila e che la stessa stampa internazionale abbia dovuto in qualche modo correggere il tiro su Berlusconi, ma questo non può non far emergere alcuni aspetti importanti. Aspetti che non si colgono se si va solo all’elenco puntuale degli impegni disattesi.

La critica al G8 viene svolta eminentemente in termini di quante aspettative sono rimaste deluse. Le regole per la finanza e il come affrontare la crisi economica sono state nascoste dietro lo slogan “People First”. I 20 miliardi promessi all’Africa stanno rimbalzando dal Millennium Round (1999) a Gleeneagles (2005) e non si vede quando si materializzeranno. Se gli altri poi dovessero fare come Berlusconi, che, dopo solenni e ripetuti proclami – per lui l’imbroglio è regola – ha ridotto allo 0,11% del Pil lo stanziamento per i paesi poveri, sarebbe partita persa. La riduzione del 50% della CO2 al 2050 è solo per prendere tempo, riservandosi in un secondo momento di prendere in giro. E così via.

Sono tutte cose vere, ma non dovremmo lasciare a Scalfari il pontificare sull’ovvia considerazione che quella sede, G8 o G20 che sia, non ha potere decisionale e nella migliore dell’ipotesi può esercitare solo un potere di indirizzo. Ed e proprio rispetto a questo potere che si dovrebbero valutare i risultati e solo accettando questo riconoscimento, poi, si può denunciare il non coinvolgimento a pieno titolo degli “emergenti” o degli altri. Se no, perché piagnucolare perché restano esclusi da un club “inutile” o “dannoso”?

Il potere di indirizzo. Premessa invero pallida e talvolta contraddittoria nelle sue determinazioni concrete rispetto all’esigenza di una governance globale che faccia fronte ai problemi globali del pianeta, come spesso viene agitato anche a sinistra. Beh, se vogliamo restare a questi ultimissimi anni è dal G8 di Heiligendamm (2007) che il link energia/cambiamenti climatici ha avuto priorità nell’agenda degli incontri e, a costo di apparire un inguaribile ottimista, non mi sembra un risultato da buttar via aver fissato il 50% di riduzione al 2050. Anche perché non si otterrebbe quell’obiettivo se non ci si avvicinasse al 20% stabilito dalla UE per il 2020. E dopo l’Europa anche Obama ha lanciato poche settimane fa una sfida da 150 miliardi di dollari sul risparmio energetico e sulle fonti rinnovabili come risposta alle crisi ambientale e economica.

La stessa Cina si impegna a un 15% di rinnovabili entro il prossimo decennio. Insomma, ci sono continui feed-back tra grandi politiche e “G qualcosa” e, anche per l’Africa, il protagonismo del presidente americano fa intendere che i tempi possono cambiare. Da non dimenticare poi che la povertà che affligge il mondo è l’altra faccia degli sconvolgimenti climatici.

Difficile riuscire a collocare nelle Nazioni Unite il contesto dei primi tentativi di un governo delle crisi epocali che abbiamo di fronte, se prima non ci siano stati assensi significativi di un “G qualcosa”, che rappresenta in ogni caso i due terzi della popolazione mondiale.

Torna all'archivio