[08/07/2009] Aria

Fossili, estrazioni per l´uso: l´uovo e la gallina del caos climatico

CAGLIARI. Fervono e zoppicano i negoziati sul clima. Ma da che lato prendere il problema? Fissare obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra (anidride carbonica in primis) senza spiegare come si manterranno, come sta avvenendo? Oppure impegnarsi a estrarre meno fossili, visto che la loro combustione è la causa principale dell’aumento di concentrazione di gas serra in atmosfera e dunque del riscaldamento climatico? E perché si estraggano meno fossili, non deve ridursi la domanda da parte degli… utilizzatori finali?

Su questi circoli viziosi si è soffermata la “Carta di Montevecchio”, firmata dalle tante organizzazioni che hanno partecipato alle appena concluse giornate internazionali del “Gsotto”, nel Sulcis Iglesiente: «Il negoziato sul clima attualmente in corso non fa riferimento alla necessità di attuare politiche diverse in tutti i settori. Il negoziato non chiede nemmeno che si consumi di meno, in particolare nei paesi del Nord. Il dibattito globale sul clima ci sta allontanando dal raggiungimento dell´obiettivo principale che ogni azione in materia dovrebbe avere: estrarre e consumare sempre meno combustibili fossili. I paesi del Nord dovrebbero adottare cambiamenti drastici nei propri consumi e nello stile di vita, che ridurrebbero la domanda di energia e di materie prime. Questo inoltre ridurrebbe nel Sud i progetti di estrazione mineraria di quella di combustibili fossili, riducendo il conflitto attuale sull´uso della terra».

Già mesi fa, il tetto alle estrazioni come prova del nove della serietà in materia di clima era stato indicato dal giornalista e ambientalista inglese George Monbiot sul quotidiano Guardian, partendo da due articoli scientifici pubblicati dalla rivista Nature i quali calcolavano quanto carbonio il mondo si potesse ancora permettere di rilasciare in questo secolo in atmosfera per contenere entro due gradi l’aumento della temperatura terrestre. Alla fine il budget più accettabile e precauzionale era stato fissato dalla rivista in 400 miliardi di tonnellate di anidride carbonica.

Da questo tetto, a prenderlo per buono, si può dedurre quanti combustibili fossili potremmo allora estrarre ancora, considerando il contenuto in carbonio (che si libera con la combustione) di petrolio, gas e carbone. Viene fuori che il mondo si può permettere di bruciare poco più del 33% delle riserve globali, lasciando davvero perdere le cosiddette “fonti non convenzionali” come le sabbie bituminose, gli idrati di metano e le riserve di gas naturale liquido. Anzi, quel 33% va ridotto perché dovremo sottrarre quanto bruciato dal 2000 a oggi.

Estrarre meno e sempre meno, dunque. Il paese che ha fatto questa proposta al mondo e la porterà ai negoziati di Copenhgen è l’Ecuador, per ora in riferimento a un bacino petrolifero situato in zona forestale a elevata biodiversità. Ma l’idea, chiedono i movimenti soprattutto del Sud, va estesa a tanti altri bacini e alle stesse estrazioni minerarie (se i tanti paesi del Sud limitassero li prelievi minerari alle esigenze interne, smettendo di essere esportatori netti, lo scenario mondiale cambierebbe del tutto).

Forse sarà la proposta di alcuni altri paesi del Sud come la Bolivia (che esplicitamente coniuga il “debito climatico” dell’Occidente alla necessità di traghettare sistemi e persone verso il “buen vivir”). Ma complessivamente, i balletti di promesse climatiche stanno lontani dai pozzi e dalle miniere. Hanno già abbastanza di che scontrarsi sulle percentuali di riduzione necessarie e accettate, per pensare a come si possa arrivare a queste riduzioni e cioè, a come si fuoriesca dalla civiltà petrolifera.

In generale si sostiene la necessità di non superare i due gradi di aumento della temperatura terrestre anche se in realtà già 1,5 gradi sarebbero tragici e già il meno di un grado maturato negli scorsi decenni fa sfracelli (vedi il recente rapporto di Oxfam, di cui si parla su greenreport). Ma per rimanere a due gradi, insistono sia gli scienziati dell’Onu che le organizzazioni non governative, le emissioni di gas serra dei paesi industrializzati vanno ridotte quasi a zero nel 2050 e va sostanzialmente ridotta la crescita dei paesi in via di sviluppo, così da arrivare a tagli globali dell’80% rispetto alle emissioni del 1990 (la base di calcolo per il morente Protocollo di Kyoto). Ed entro il 2020 occorrerebbero intanto tagli del 40% rispetto al 1990, anno rispetto al quale tutti i paesi hanno aumentato le emissioni, anche oltre il 10% mentre dovevano ridurle, per il pur moderatissimo Protocollo.

In verità in molti dicono che questo proprio non basta. Lester Brown, famoso esperto dell’Earth policy institute, già fondatore del World watch institute, sostiene che occorra tagliare dell’80% le emissioni già entro il 2020; «farlo entro il 2050 è politicamente più confortevole, ma non è quel che serve». E George Monbiot nel suo libro Heat sostiene che le nazioni ricche debbano tagliare del 90% entro il 2030.

Dunque, bene che vada, fare promesse per il 2050 è una scappatoia. Gli impegni di riduzione nazionale e globale (da vedere poi come) vanno presi e mantenuti per il 2020 e devono essere importanti. Ma non è così.

Gli Stati Uniti di Obama – anche se c’è un oceano di distanza da Bush - promettono tagli del 17% entro il 2020. E oltretutto rispetto al 2005, non rispetto al 1990 quando erano più basse (negli usa come in Italia).

L’ Unione Europea che sembra tanto prima della classe si è da tempo impegnata per ridurre le proprie emissioni del 2020 entro il 2020, eventualmente arrivando al 30. Dunque poco anche lei. Ma gli altri paesi sviluppati arrancano con promesse intorno al 10% entro il 2020. Il Giappone è il peggiore, il suo governo aveva annunciato che al massimo avrebbe ridotto dell’8% rispetto al 1990, quando avrebbe già dovuto tagliare del 6%.

Non è strano allora che i leader del G8 – fra i paesi più climaticamente iniqui - non siano riusciti a strappare il consenso delle economie emergenti (e finora le meno responsabili) sugli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2050 e che l’India giorni fa abbia dichiarato che non fisserà alcun obiettivo di riduzione dei gas serra.

NOTA. Ricordiamo en passant le emissioni totali attuali di gas serra (dal rapporto Ipcc del 2007):
49 miliardi di tonnellate di “CO2equivalente” all’anno di cui: emissioni fossili di CO2, 27,7 miliardi di tonnellate all’anno e da deforestazione 8,5 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente all’anno; emissioni di metano: 7 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente all’anno; di ossidi di azoto: 3,9 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente all’anno; altra CO2: 1,3 mialiardi di tonnellate all’anno; gas industriali a base di fluoro: 0.5 miliardi di tonnellate di Co2 equivalente all’anno.

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