[06/07/2009] Comunicati

Sostenibilità ambientale e sociale: i «pagherò» dell´Eni...

LIVORNO. «In Eni mi hanno insegnato: ricordati che il petrolio non è tuo, è loro. È sempre stata questa l’idea alla base del nostro atteggiamento. Se saremo in grado di cooperare, ci sarà abbastanza ricchezza per tutti». Questa frase attribuita a un ipotetico dipendente, con un virgolettato che sovrasta l’immagine di una campagna italianissima puntellata di covoni di fieno, apre il capitolo “Abitare il mondo” del rapporto di sostenibilità 2008 che Eni ha presentato proprio in questi giorni. Che Eni abbia investito molto in questi ultimi anni sulla sua immagine verde (basti pensare alla campagne “30 per cento” o sui 24 comportamenti da attuare per risparmiare energie, o alle iniziative organizzate in partnership con le associazioni ambientaliste), e su quella etica (si vanta di essere leader in tutti gli indici di sostenibilità internazionali, l’ultimo arrivato è il Foreign policy association’s corporate social responsabilità award) non è certo una scoperta.

Ma non è neppure una novità il fatto che questa patinata etica da bilancio di sostenibilità (cosa buona in sé, per carità) si scontri con realtà dei fatti intrise di sangue e battaglie, di rapimenti e rivendicazioni, di sfruttamento delle risorse altrui e pagamento di oboli più o meno alla luce del sole a governi troppo deboli per garantire il bene collettivo anziché quello privato.

I guerrieri nigeriani del Mend (Movimento per l´emancipazione del Delta del Niger, chiede una ripartizione più giusta delle ricchezze generate dal petrolio, di cui possa beneficiare anche la popolazione locale) per esempio accusano l´Eni di comportarsi esattamente come le altre multinazionali e di inquinare mare e paludi del Delta del Niger, anche per questo ha rapito diversi tecnici italiani. L’ultimo episodio è avvenuto appena un paio di settimane fa, con l’attacco a un oleodotto gestito dall´Agip (Gruppo Eni) nello Stato di Bayelsa, in Nigeria. L’Eni già qualche settimana prima aveva dovuto dichiarare la «causa di forza maggiore» e annunciare un taglio alla produzione dalla Nigeria di circa 50 mila barili al giorno, già ben al di sotto di quanto previsto dalla multinazionale italiana.

Certo se uno considera soltanto la faccia ufficiale della medaglia, nessuno può negare che sia vero quel che sostiene l’amministratore delegato di Eni nell’introduzione al bilancio di sostenibilità 2008: «L’esperienza di Eni dimostra che è possibile stabilire modelli di cooperazione con i Paesi produttori capaci di creare sviluppo attraverso accordi di lungo termine, costruire reti che contribuiscano alla sicurezza energetica dell’Europa, investire in innovazione partendo dalla valorizzazione delle culture e delle diversità». Ma ovviamente la democrazia e l’equa redistribuzione del reddito che può garantire ai suoi cittadini un governo come quello nigeriano ( o di altri Paesi con cui l’Eni ha contratti di approvvigionamento), lascia molto a desiderare.

Emblematica nel rapporto di sostenibilità la parte riguardante il gas flaring : «Il gas associato al petrolio estratto – si spiega nel rapporto - è generalmente bruciato (flared) in torcia nei Paesi in via di sviluppo, in particolare nel continente africano, con grandi quantitativi di gas serra immessi in atmosfera».

Purtroppo per i nigeriani però «il recupero del gas associato al petrolio in questi Paesi comporta la realizzazione di costose infrastrutture come nuovi gasdotti, centrali elettriche ad alta efficienza e terminali di liquefazione gas». Tutte opere che tutelano la salute dei cittadini e che in occidente e nei Paesi industrializzati sono ormai diritti acquisiti, ma che nei paesi in via di sviluppo non rientrano quasi mai nelle contrattazione tra le multinazionali e i “governi” dei singoli Paesi. Così che nel rapporto di sostenibilità 2008 dell’Eni diventa addirittura una buona pratica, un modello di sostenibilità etica e ambientale, il fatto che Eni «persegue (non fa!, ndr) la riduzione del gas flaring sviluppando progetti di cui promuove anche il riconoscimento a Clean Development Mechanism (CDM). I progetti di riduzione di gas flaring ad oggi in corso hanno l’obiettivo di ridurre entro il 2012 le emissioni da gas flaring del 70%, rispetto al valore del 2007: queste emissioni rappresentano ben un terzo delle emissioni complessive di GHG di Eni». Insomma un po’ come dire: siccome abbiamo intenzione in futuro di inquinare meno e di sfruttare in modo più equo le vostre risorse, di non depredare le vostre risorse e la vostra salute, allora siamo bravi. Però non abbiate fretta, ci vuole tempo e intanto continuiamo a calpestarvi!

Del resto proprio in questi giorni Amnesty international ha accolto con piacere la dichiarazione rilasciata il 30 giugno da Eni Spa, con la quale la compagnia italiana fa sapere che sta attuando due delle raccomandazioni contenute nel rapporto diffuso lo stesso giorno dall’organizzazione, dal titolo «Petrolio, inquinamento e povertà nel Delta del Niger» (vedi altro articolo).

Anche in questo caso siamo costretti ad essere contenti che Eni abbia deciso che in futuro sarà buona, e che prima o poi tratterà i cittadini dei paesi in via di sviluppo nello stesso modo in cui tratta i cittadini dei Paesi occidentali… Un po’ come quando sulle confezioni dei prodotti che acquistiamo si trova scritto: “per realizzare questo prodotto sono stati rispettati i diritti dei lavoratori e non sono stati impiegati minorenni”. Bravi davvero, peccato che quello che dovrebbe essere un obbligo e un’ovvietà sia necessario dirlo e addirittura promuoverlo come buona pratica sociale.

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