[03/07/2009] Energia

Italia, 10 cents a testa al giorno di incentivi per le rinnovabili: ridurli o aumentarli?

FIRENZE. 10 centesimi di euro al giorno a persona. Questa, secondo le stime presentate oggi al convegno “Visioni e frontiere delle energie rinnovabili”, tenutosi a Firenze, la quota giornaliera che ogni cittadino italiano paga per incentivare le rinnovabili. Un calcolo che deriva dalla somma degli incentivi che ogni anno lo Stato eroga per lo sviluppo delle Fer: attualmente (2008) circa 1,7 miliardi di euro, secondo Luigi de Paoli dell’università Bocconi. Questo valore (più precisamente 1.707 milioni, suddivisi in 932 milioni per la quota Fer nel Cip6, 115 dal conto energia per il fotovoltaico, 660 dai certificati verdi) è destinato a crescere, secondo le diverse stime presentate oggi, fino a 7 miliardi/anno (stima di Roberto Malaman, direttore dell’autorità per l’energia elettrica e il gas) e fino a 10 mld/anno secondo de Paoli.

Il motivo della prevista crescita degli incentivi è legato all’incremento che, in conseguenza della rivoluzione che sta investendo il settore e soprattutto in ottemperanza agli obiettivi posti in sede europea con l’approvazione del pacchetto 20-20-20 (che per l’Italia si tradurrà, secondo gli accordi, nel raggiungimento di una quota-rinnovabili del 17% della torta energetica) è atteso nel settore delle Fer: solo per citare qualche dato (la prossima settimana ritorneremo ampiamente sulle molteplici e stimolanti questioni affrontate oggi da alcuni dei massimi esperti nel settore) basta pensare alle previsioni di crescita dell’eolico nazionale (1718 Mw installati oggi, 12.000 previsti nel 2020), del solare nelle sue tre attuali declinazioni (fotovoltaico, termico e termodinamico, dai 35 Mw installati attuali a 9500 nel 2020) e dell’energia da biomasse, stimata raddoppiare dagli attuali 1.200 Mw a 2.400.

Sostenibilità economica vs sostenibilità ambientale nello sviluppo delle Fer, quindi: questo è stato tra i temi predominanti dell’incontro odierno, coordinato da Riccardo Varaldo (presidente scuola s. Anna di Pisa) e a cui hanno preso parte, tra gli altri, Luigi Paganetto (presidente Enea), Carlo Bollino (presidente Gse) e Luciano Barra, capo del dipartimento energia presso il ministero dello Sviluppo economico, in sostituzione del ministro Scajola che, contrariamente alle previsioni, non ha preso parte al convegno.

La posizione (ben nota, anche in seguito all’approvazione del ddl Sviluppo nel suo passaggio alla camera, avvenuta il primo luglio) del ministro Scajola, comunque, è stata ripetuta in maniera netta da Barra: «il primo criterio è l’equilibrio» - ha esordito - «vanno superati quei ragionamenti che pongono come tra loro alternativi lo sviluppo del nucleare, delle rinnovabili e dell’efficienza energetica», e occorre quindi agire in una logica integrata. Una posizione che, non c’è bisogno di ribadirlo, appare cieca davanti alla ovvia constatazione che la coperta (dei finanziamenti, degli incentivi, della ricerca, delle motivazioni politiche e culturali, e così via) è corta, e che quindi – volendo fare un esempio - ogni centesimo dato alla ricerca sul nucleare è un centesimo in meno dato alla ricerca sulle Fer.

E va anche detto che nel suo intervento Barra ha citato (giustamente) l’enorme differenza, in termini di quella che possiamo definire come “concentrazione di energia”, che caratterizza, allo stato attuale della tecnologia, le Fer e il nucleare: «se volessimo produrre la stessa elettricità data da un reattore sul tipo di quelli Edf francesi con il fotovoltaico, occorrerebbe installare 3 milioni di impianti fv domestici da 3 kw». Ora, kw più kw meno, la stima sembra attendibile: ma a questo punto sarebbe stato giusto chiarire alla platea (prevalentemente composta da operatori del sistema produttivo e finanziario) anche le esternalità negative rappresentate dal nucleare in termini di costi non evidenti (soprattutto gli incentivi, che sapientemente non sono mai stati nominati ma, come sappiamo, sostengono l’energia nucleare in qualunque paese abbia deciso di adottarla), rischi e problemi territoriali (scorie, messa in opera centrali, eccetera).

E invece niente, si spiega perché il nucleare è vantaggioso (e per certi versi ciò è anche vero), ma non se ne spiegano gli svantaggi: esattamente la stessa logica e la stessa impostazione tendenziosa con cui vengono presentate al paese le nuove scelte energetiche che il Governo intende perseguire. Comunque, riguardo alle Fer e in generale alle nuove strategie energetiche del Belpaese, Barra ha spiegato che la strategia del ministero in materia prevede il «privilegiare l’efficienza energetica, poiché sarebbe paradossale incentivare tecnologie che poi vengono utilizzate male», e sostenere lo sviluppo di una vera industria italiana per le rinnovabili, con particolare focus sullo sviluppo di tecnologie caratterizzate da un minore impatto sul paesaggio, questione che nel nostro paese «rappresenta un grosso problema politico, e su cui l’industria italiana potrebbe dire la sua». Inoltre, Barra ha citato quello che ritiene un punto di forza del settore: «le rinnovabili possono essere idonee meglio di altre alle caratteristiche del sistema produttivo dell’Italia», poiché la tipica diffusione non centralizzata che caratterizza le Fer «è adatta alla cultura della piccola-media impresa (più alla media che alla piccola) che predomina nel paese.

Barra ha poi citato il ruolo di industria 2015, e il programma Ue («che dovrebbe partire a breve») con risorse per 1600 milioni di euro che dovrebbero essere destinate in gran parte allo sviluppo delle filiere di produzione di componenti per impianti a rinnovabili. Innovazione tecnologica e certezza del quadro burocratico rappresentano altri ambiti di sviluppo.

Riguardo agli incentivi per le Fer, Barra ha spiegato che è obiettivo del ministero ridurli, a cominciare da quelli per il fotovoltaico che, ha sostenuto, «sono i più alti al mondo». Incentivi che «in questi 3-4 anni sono stati molto utili, ma che ora, con oculatezza, possono essere ridotti in modo che la strada dello sviluppo del fotovoltaico possa proseguire, pur riducendo l’incentivazione».

Quindi, da una parte ci avviamo verso il ritorno del nucleare, tecnologia che finora in nessun paese può essere ritenuta “sostenibile economicamente” nel vero senso del termine poiché riceve incentivi pubblici dovunque essa sia adottata, e che quindi sarà sicuramente e inevitabilmente incentivata da fondi pubblici anche in Italia, se intrapresa. Dall’altra parte, si discute della riduzione degli incentivi per fonti energetiche rinnovabili, sostenendo che alcune (es. il fotovoltaico) sono in grado ormai di camminare sulle proprie gambe. E dire che, almeno secondo i dati presentati da Paganetto, attualmente il costo di un Mwh prodotto da rinnovabili è, se escludiamo l’idroelettrico (75-100 €/Mwh) e il geotermico (80 €/Mwh), molto alto: 140 €/Mwh per l’eolico, da 50 a 140 per il biogas, 240 per le biomasse, 140 per l’energia da rifiuti e circa 500 €/Mwh per il solare, in media. E con questi costi, e con queste enormi differenze in termini di concentrazione di energia con le tecnologie attuali, da molte parti (e soprattutto da parte del Ministero) si ritiene che gli incentivi siano troppo alti, e vadano ridotti.

Come detto, ritorneremo nei prossimi giorni sulle questioni odierne. Per ora, resta solo una grande perplessità: la sostenibilità economica dello sviluppo è da considerarsi obiettivo di grande importanza, e in un’ottica di mercato è giusto anche pensare al momento futuro in cui davvero il progresso tecnologico e lo sviluppo della green-economy permetteranno il raggiungimento di rendimenti tali, da parte delle Fer, che avrà senso parlare di superamento o forte riduzione degli incentivi ad esse: ma parliamo di un momento futuro, mentre ad ora il sistema di incentivi ci sembra uno dei capisaldi per l’affermazione di tecnologie che hanno immensi ambiti di miglioramento e che si “scontrano” con altre, ben più mature.

Poi, è vero che gli incentivi non sono la panacea: essi, come ha spiegato de Paoli, «favoriscono in alcuni casi la rendita a scapito degli investimenti», ed è condivisibile anche l’appello che Varaldo ha fatto per orientarli, eventualmente, maggiormente sull’offerta – cioè sulla produzione – e meno sulla domanda. Interessante, anche se da discutere, l’auspicio che Malaman ha avanzato per far sì che gli incentivi gravino non solo sui consumi energetici, ma anche sulla fiscalità generale.

Ma, come ha spiegato lo stesso Malaman, «non esistono paesi dove le Fer non sono incentivate, tranne in alcuni casi l’idroelettrico e poche altre eccezioni (..), e il sistema degli incentivi è necessario poichè essi sono “politica pubblica”, permettono lo sviluppo di tecnologia nuova, e producono esternalità positive in termini di effetti ambientali», tra cui quelle fondamentali relative al contrasto al cambiamento climatico in corso.

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