[02/07/2009] Consumo

Fine dell´era della superfrutta

FIRENZE. «Si chiude, forse, l’era della superfrutta, simbolo di un’agricoltura che negli ultimi anni ha colpevolmente confuso forma e sostanza». Così Licia Granello su “Repubblica” commenta l’avvenuta entrata in vigore (primo luglio) del regolamento 1221/2008 dell’Unione europea. Secondo la nuova normativa, decadono i vincoli su peso, forma e dimensioni per 26 prodotti ortofrutticoli (dai carciofi alle nocciole, dalle ciliegie ai cavoli, dagli spinaci alle carote), mentre per alcuni, i più diffusi e commercializzati (agrumi, mele, pere, pesche, fragole, kiwi, uva da tavola, insalata, pomodori e peperoni), i vincoli rimangono ma potranno subire deroghe se sui banchi di vendita sarà apposto, accanto al prodotto con forma e dimensione “anomala”, il cartello “destinati alla trasformazione”.

Non più sulla “frutta bella”, potrà quindi esprimersi l’Unione europea, ma su soli criteri qualitativi. Ed ecco che, di colpo, una delle più frequenti (e qualunquiste) accuse che gli euroscettici avanzano all’Unione, per cui l’invadenza comunitaria giunge al punto di determinare la forma dei cetrioli (quante volte abbiamo sentito, nei mercati e nei bar, questa critica vagamente allusiva...), cade di colpo.

Al di là dell’euroscetticismo, la notizia è significativa e apre prospettive interessanti, ma va valutata attentamente: di primo acchito essa può essere vista come una vittoria dell’agricoltura di qualità a scapito dell’omogeneità imposta ai prodotti dall’agricoltura intensiva. Al di là di un processo di “sanitarizzazione alimentare” che è in corso nelle società industrializzate, ma che va analizzato soprattutto dal punto di vista culturale, infatti, il motivo principale dell’esistenza di norme comunitarie su forma e dimensioni degli alimenti è dato dai vantaggi che prodotti standardizzati offrono in termini di risparmio nello stivaggio, nel packaging e nella distribuzione sia all’ingrosso che di dettaglio.

Basta pensare, a questo proposito, alla maggiore spesa che impone il trasporto di un carico di mele di forma e dimensioni diverse rispetto a quello di un carico di mele “standard”. Una maggiore spesa che si traduce anche in uno spreco di tempo, e soprattutto in maggiori emissioni, maggiore consumo di carburante, eccetera.

D’altro canto, sappiamo bene che buona parte del prodotto ortofrutticolo viene destinata ad usi diversi da quello del consumo umano non per motivi qualitativi, ma per motivi legati all’estetica. E questo comporta, a sua volta, una notevole produzione di esternalità negative quali rifiuti, emissioni, sprechi.

E la caduta dei vincoli europei su forma, peso e dimensione avrà, tra i suoi sicuri effetti, anche quello di sostenere effettivamente l’agricoltura di qualità, rendendo meno competitivo il prodotto standardizzato e aumentando invece il valore dei difetti, delle tipicità, in ultima analisi della diversità biologica anche nell’ortofrutticoltura.

Certo, non è tutt’oro quel che luce: secondo la Coldiretti, la notizia genera «allarme per l’invasione di prodotto dall’estero, con le importazioni di frutta dall’estero che sono cresciute del 22 per cento nel primo trimestre dell’anno (..). Il venir meno dell´ obbligo di garantire l´omogeneità del prodotto offerto in vendita rischia di favorire la vendita di scarti a più alto prezzo». Inoltre, «il sistema comunitario fino ad ora in vigore disciplinava la classificazione dell´ortofrutta in categorie e calibri per garantire l´omogeneità dei prodotti presenti in un imballaggio (..), e il fatto che alcuni dettagli siano eccessivi e quindi da semplificare nulla toglie alla necessità di avere un linguaggio commerciale univoco che consenta di identificare il prodotto senza inganni». Il rischio principale, in sintesi, è «quello di una concorrenza sleale da parte dei nuovi paesi dell´est».

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