[01/07/2009] Aria

L’India non fisserà obiettivi di riduzione dei gas serra e critica la legge Usa

LIVORNO. Doccia fredda sugli entusiasmi del “nuovo corso” ambientalista nella più grande democrazia del mondo: il ministro dell’ambiente dell’India ha reso noto che il suo Paese non fisserà alcun obiettivo di riduzione dei gas serra, per concentrarsi sulla lotta alla povertà e spostare risorse verso la crescita economica.
Un problema non da poco in vista del summit di Copenhagen sui cambiamenti climatici: l’India è uno dei maggiori emettitori di gas serra del pianeta dopo Usa, Cina e Russia ed ha la seconda popolazione del pianeta, in forte crescita e destinata a superare quella cinese.

Le promesse del Partito del Congresso in campagna elettorale sembrano per ora accantonate e l’India rivendica il diritto a non fissare quote obbligatorie (ma a quanto pare nemmeno volontarie) perché le sue emissioni pro-capite sono infinitamente più basse di quelle dei Paesi ricchi. Questo non vuol dire che rinuncerà a restare alla testa dei Paesi in via di sviluppo che chiedono ai Paesi industrializzati di aiutarli ad adattarsi al cambiamento climatico e di tagliare le loro emissioni di almeno il 40%.

Comunque il ministro dell’ambiente Jairam Ramesh (nella foto) è stato chiaro: «L’India non può e non fisserà obiettivi di riduzione delle sue emissioni perché l’eradicazione della povertà e lo sviluppo economico e sociale sono le prime priorità del Paese. Un obiettivo obbligatorio di riduzione delle emissioni nazionali di gas serra metterebbe in pericolo la sicurezza alimentare, la conservazione dell’energia e la politica dei trasporti del Paese».

A Copenhagen sembrano destinate a scontrarsi nuovamente due posizioni, quella dei Paesi poveri che vogliono che i ricchi paghino il loro debito storico di inquinatori e rivendicano il loro diritto ad una crescita economica che a quanto pare ricalcherebbe molti di quegli errori, e quella dei Paesi ricchi che ritengono insostenibili i tagli richiesti mentre le loro economie soffrono della recessione provocata dallo scoppio della bolla neoliberista che tutti (meno i poverissimi) hanno contribuito a gonfiare.

Dopo l’ubriacatura della vittoria elettorale il Congresso si è reso conto di non avere una maggioranza così solida come pensava e la pressione di centinaia di milioni di poveri e dell’opposizione di sinistra e la crescente guerriglia naxalita-maoista e di gruppi indipendentisti alimentati dalla miseria, ha spostato le priorità di “modernizzazione” verso lo sviluppo economico e misure sociali, evidentemente a danno delle politiche ambientali. Con il rischio di incrementare quel circuito vizioso, catastrofi climatiche-ambientali – sviluppo – impoverimento - catastrofi, che l’India sta già drammaticamente sperimentando in molti dei suoi Stati.

Jairam Ramesh si é limitato ad una promessa facile facile: «l’India non permetterà alle sue emissioni di gas serra pro-capite di superare quelle dei Paesi sviluppati. Questo obiettivo è molto simile alle limitazioni volontarie dei gas serra».

Ma ce n’è stato anche per Obama: «l’India non approva la previsione del progetto di legge sul cambiamento climatico votata la settimana scorsa dalla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, secondo la quale delle sanzioni commerciali potrebbero punire i Paesi che hanno fallito nella riduzione delle loro emissioni».

La strada imboccata dall’India è molto pericolosa e rischia di portarsi dietro altri importanti Paesi in via di sviluppo, ma soprattutto di diventare un vicolo cieco della road map disegnata a Bali per arrivare a Copenhagen.

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