[24/06/2009] Aria

Benvenuti nella zona morta. Noaa: verso il record di estensione annuale dell´area inquinata

FIRENZE. Secondo la Noaa, che ha condotto un progetto di ricerca con le università della Louisiana e del Michigan, l’estensione della “zona morta” del golfo del Messico potrebbe raggiungere quest’estate un valore record. L’area, di cui aveva già parlato Edoardo Zanchini l’11 giugno scorso su greenreport, è una delle zone a più alto inquinamento da eutrofizzazione dell’intero pianeta.

Secondo la Noaa, infatti, il 41% delle acque meteoriche cadute sugli Usa drena nel Mississippi, e dal fiume raggiunge poi il golfo del Messico. Sulle città che costeggiano i fiumi afferenti al bacino (la cui estensione raggiunge i 3,2 milioni di kmq) vivono circa 12 milioni di persone, a cui va aggiunto il ruolo (ritenuto ben più influente in termini di immissioni di sostanze azotate nell’acqua) delle fattorie, che ogni anno in primavera rilasciano nei corsi d’acqua e nelle falde circa 1,7 milioni di tonnellate tra nutrienti azotati e fosforici, a seguito dell’utilizzo di fertilizzanti (vedi immagine).

Ciò comporta il trasporto di enormi quantità di elementi fertilizzanti verso la foce del fiume, dove essi si accumulano, col risultato di una proliferazione del fitoplancton, cioè degli organismi acquatici unicellulari fotosintetizzanti: a sua volta, ciò causa il consumo dell’ossigeno presente nell’acqua, poiché come noto anche gli organismi autotrofi svolgono, oltre al processo fotosintetico (CO2>O2) anche l’opposto, cioè la stessa respirazione (O2>CO2) che caratterizza gli organismi eterotrofi.

Una eccessiva presenza di nutrienti comporta lo sbilanciamento dell’equilibrio dinamico che sussiste tra fotosintesi e respirazione a favore di quest’ultima, col risultato appunto di una crescita smodata della popolazione di fitoplancton (1) a cui si accompagna un abnorme consumo dell’ossigeno disponibile. Inoltre l’abbondanza di fitoplancton causa a sua volta una proliferazione di zooplancton (2), cioè degli organismi eterotrofi posti nell’anello superiore della catena alimentare, col risultato di una ulteriore diminuizione dell’ossigeno. Infine, alla morte dei fito- e degli zoo-plancton seguono proliferazioni dei batteri eterotrofi (3) che decompongono la materia che costituisce la struttura biologica del plancton.

Infine occorre considerare che la differenza di salinità tra le acque dolci del Mississippi e quelle salate del Golfo (4) comporta la creazione di vere e proprie barriere al mescolamento delle acque, col risultato di creare zone di accumulo di condizioni anossiche. Questi 4 elementi, sommati, conducono all’ipossigenazione, che sussiste fino alle piogge autunnali, che rimescolano le acque riportando in circolo una quantità sufficiente di ossigeno.

Ed ecco che, anche se intuitivamente potrebbe apparire più logico il contrario, in realtà la carenza di ossigeno nella zona di accumulo dei nutrienti non è data da una condizione di “povertà biologica” dell’area, ma anzi di una sua “ricchezza”, che però poi conduce ad un consumo smodato della risorsa fondamentale, e cioè l’ossigeno: non a caso il termine eutrofizzazione significa “eccesso di nutrimento”.

E quindi ogni estate, a seguito delle piogge primaverili nel bacino del Mississippi, davanti alle coste della Luisiana e del Texas si crea un’area ipo-ossigenata, che nel 2002 ha raggiunto l’estensione, per ora ineguagliata, di 8484 miglia quadrate (21973 kmq). All’interno di essa la vita vegetale e animale è pressoché assente, soprattutto per quanto riguarda le piante e gli animali definiti “superiori”, mentre alcune forme di vita (come le meduse) riescono comunque a ritagliarsi un proprio habitat: naturalmente sulla condizione di parziale abioticità dell’area marina in questione influiscono anche altre forme di inquinamento antropico, ma la componente eutrofizzante è di gran lunga la principale.

Secondo le stime della Noaa, quest’estate la zona morta potrebbe raggiungere una superficie tra 7450 e 8456 miglia quadrate (tra 19280 e 21890 kmq circa), ma a questo valore va aggiunto il contributo delle alluvioni che hanno colpito parti del bacino fluviale nei mesi di aprile-maggio (11% in più di flusso rispetto alla media), col risultato di una estensione che potrebbe anche superare il record del 2002.

Secondo la Noaa, che svolge indagini relative al fenomeno fin dal 1990, il monitoraggio annuale dell’estensione dell’area inquinata, e la produzione di stime previsionali, potranno «aiutare i gestori delle aree costiere, i decisori politici e il pubblico a meglio comprendere e a contrastare i fattori causanti delle deadzones. Per esempio, i modelli utilizzati nelle previsioni sono stati usati anche per determinare gli obiettivi di riduzione del rilascio di nutrienti richiesti per ridurre l’estensione delle zone morte (..),che sono fonte di particolare preoccupazione perchè minacciano la pesca commerciale e turistica nel Golfo».

Il direttore del settore Ricerca costiera della Noaa, Robert Magnien, sottolinea come «questo (meccanismo di) avviso è solo un esempio delle crescenti capacità di previsione della Noaa, che permetteranno ai decisori di proteggere delle risorse preziose e le economie costiere in maniera fattiva».

Ed è questa ultima considerazione quella da sottolineare con più forza: il percorso di evoluzione che i centri di analisi climatologica stanno intraprendendo in varie realtà estere, in primis negli Usa, è di fondamentale importanza: la strumentazione, la metodologia, la stesso approccio utilizzato dalle agenzie di studio del clima possono essere adottati in svariati altri campi relativi alla contabilizzazione degli impatti umani sull’ecosistema, alla previsione a breve-medio termine della loro evoluzione, e in ultima analisi allo studio dei meccanismi di contrasto e/o adattamento alle conseguenze di questi impatti.

E, ad ora, gli Usa (e in particolare la Noaa, che come noto dipende dal dipartimento del Commercio statunitense, e negli ultimi anni ha fortemente sviluppato la componente interdisciplinare delle sue analisi, fino a pochi anni fa di natura esclusivamente climatica) sono capofila in questo settore della corsa verso una scientifica, oggettiva contabilizzazione delle interazioni tra uomo e sistemi ambientali. (rm)


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