[22/06/2009] Recensioni

La Recensione. Gomorra di Roberto Saviano

Nell’aprile del 2006 viene pubblicato un libro che a torto o a ragione è entrato prepotentemente nella storia della letteratura italiana. Gomorra dell’allora sconosciutissimo Roberto Saviano ha realmente rotto ogni schema relativo all’utilità della letteratura: «La teoria e la riflessione critica del Novecento ha dato per scontato che il poeta, il filosofo, lo scrittore non siano più una forza agente dentro alla società – ha scritto recentemente sulla rivista letteraria Allegoria Carla Benedetti - Nessuno credeva più che l´espressione di un singolo potesse dare un contributo fondamentale, decisivo, alla collettività».

Ma proprio la camorra pare essere stata la prima ad aver avuto le idee chiare su questo libro e sul ruolo della letteratura: il sapere è potere, e la scrittura, oltre che un´attività, è un´azione. Da ciò deriva dunque l’invito da parte della camorra, amplificato dal riverbero mediatico, a eliminare l´”infame” Saviano: Gomorra è devastante come una battaglia perduta, perché nessuna politica aveva mai danneggiato tanto la camorra:

«Dunque la prima cosa che io ricavo dal caso Gomorra - sono ancora le parole di Carla Bendetti - è che i libri non sono cose inerti. I libri agiscono. Non solo "raccontano la realtà" ma la modificano. Gomorra ha modificato la nostra percezione della criminalità organizzata, dell´economia, persino delle griffes della moda e dei loro simboli. Si tratta appunto della forza agente della letteratura: forza di verità, forza eversiva, forza rigenerante della parola».

Questa premessa era d’obbligo. Ed è premessa letteraria, perché appunto Gomorra prima di tutto è un romanzo. Poi è un romanzo sulla camorra e sulla criminalità organizzata. E’ però anche un romanzo sull’economia. E infine è un romanzo che si dipana su uno sfondo fatto di rifiuti. Come redazione di greenreport ci siamo interrogati più volte in questi anni sull’utilità di recensire un libro che, pur affrontando direttamente un tema centrale nelle nostre riflessioni, lo faceva in modo inevitabilmente ascientifico, superficiale, forse semplicemente romanzesco: «mi è sempre piaciuto girare con la Vespa nelle straudcole che costeggiano le discariche – scrive Saviano nel capitolo finale del suo libro, quando si parla di discariche si intende sempre discariche abusive – è come camminare sui residui di civiltà, stratificazioni di operazioni commerciali, è come fiancheggiare piramidi di produzioni, tracce di chilometri consumati».

Questo ha fatto Saviano: ha girato le sue terre, ha toccato e annusato nelle sue campagne “mappamondi della monnezza”, ha disegnato con essi lo scenario fetido di un romanzo fatto di morti ammazzati, uno scenario che via via emergeva tra le sue singole storie sanguinose, per dedicargli infine un ‘misero’ capitoletto, ma che è anche l’ultimo capitolo, e che quasi sembra strangolare impietosamente i barlumi di speranza di un libro infinito e quasi logorroico nella sua triste litania di delitti e morti.

Saviano, possiamo esserne certi, non ha la più pallida idea di cosa significhi «corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti». Non gli interessa sapere che le discariche sono l’ultimo anello – anch’esso necessario, per quanto ‘residuale’ – di un sistema integrato di soluzioni al problema dei rifiuti. Sorvola sulla distinzione qualitativa e anche quantitativa tra rifiuti urbani e rifiuti speciali – per lui esiste solo la monnezza – così come usa ed abusa dell’aggettivo ‘tossici’ inventandosi una categoria di rifiuti che non esiste. Non va ad indagare la giungla legislativa vigente, i paradossi, le interpretazioni, le deroghe e le proroghe che rendono difficile lavorare anche alle imprese sane che operano nelle diverse fasi di trattamento dei rifiuti, così come rendono aggrovigliato su se stesso, il lavoro dei controllori. Controllati e controllori che agiscono all’interno di una foresta di norme e che costituiscono la parte inferiore dell’iceberg che mostra di sé sempre il lato peggiore.

Ma se mettiamo da parte per un momento il romanzo dei rifiuti e prendiamo in esame l’altro grande scenario in cui si dipana Gomorra, il romanzo dell’economia, o forse meglio il romanzo delle merci, troviamo che fin dalle prime battute questo libro svela alla massa dei suoi lettori l’egemonia culturale dei rifiuti (e delle merci che ormai nascono già come rifiuti in pectore, e perfino degli uomini-merce stipati nei container) che diventano strumento e allegoria dell’assenza dello stato. Gomorra si dipana attraverso uno sfondo fatto di merci che diventano rifiuti e di rifiuti che ritornano merci e che rappresentano il business inevitabile, ma a tempo determinato, per un mondo che è finito, nel senso della finitezza delle risorse. Risorse che come tali quindi – come aveva ben intuito Calvino quarant’anni fa dando vita a Leonia, la città che ogni giorno rifaceva se stessa da zero, finendo per essere sommersa dai suoi rifiuti – dovrebbero essere preservate nella loro rigenerazione. Invece Gomorra disegna la realtà «delle merci appena nate, che sotto le forme più svariate - pezzi di plastica, abiti griffati, videogiochi, orologi - arrivano al porto di Napoli e, per essere stoccate e occultate, si riversano fuori dai giganteschi container per invadere palazzi appositamente svuotati di tutto, come creature sventrate, private delle viscere. E il narratore disegna poi le merci ormai morte che, da tutta Italia e da mezza Europa, sotto forma di scorie chimiche, morchie tossiche, fanghi, addirittura scheletri umani, vengono abusivamente sversate nelle campagne campane, dove avvelenano, tra gli altri, gli stessi boss che su quei terreni edificano le loro dimore fastose e assurde - dacie russe, ville hollywoodiane, cattedrali di cemento e marmi preziosi - che non servono soltanto a certificare un raggiunto potere, ma testimoniano utopie farneticanti, pulsioni messianiche, millenarismi oscuri».

Questo aspetto di Gomorra è particolarmente importante e lo eleva rispetto a qualsiasi reportage, perché il giornalismo-spettacolo vede solo il ghetto d´Europa, la periferia degradata, non i ‘pilastri dell´economia’. L´impero economico dei nuovi clan è svelata da Saviano come la quintessenza del neoliberismo, del postfordismo, della flessibilità, dell´impresa multilevel, delle logiche di marketing spinte al parossismo: La Gomorra di Saviano è più dinamica, capace, lungimirante, efficiente, più spietata e avida di ogni altra organizzazione economica privata e statale, ufficiale o illecita. Le Gomorra che contaminano i vari paesi del mondo rappresentano il motore della società capitalista internazionale. Qualunque nome abbiamo, sono una potenza perfettamente organizzata ed economicamente all’avanguardia in ogni settore finanziario ed imprenditoriale, in ogni direzione commerciale. Gomorra è senza frontiere perché agisce su scala internazionale.

C’è un altro aspetto curioso nel lavoro di Saviano: nel 2006 (e ancora oggi, da almeno 14 anni) la gravità del problema per un´area metropolitana che vorrebbe tra l´altro sviluppare un´economia del turismo, e l´enorme peso simbolico negativo delle montagne di spazzatura per strada — da settembre a novembre, in ogni quartiere e paese della città e della regione — incrociavano con singolare tempismo il terrificante e documentato racconto del problema rifiuti dell´ultimo capitolo di Gomorra. Eppure il libro arrabbiato e insieme dolente di Saviano parla poco di politica, giudicando tra l´altro che al primato dell´economia globalizzata abbia corrisposto una reale capacità dei clan di autonomizzarsi rispetto ai politici, più marcata che nella mafia. La stessa affluenza nelle discariche campane dei rifiuti pericolosi, provenienti da un´ampia geografia di industrie settentrionali, che ha sicuramente prodotto o aggravato l´inefficienza del servizio ordinario, viene raccontata nel libro senza particolari rilievi sulle responsabilità politiche ed amministrative del caso. C’è chi ha voluto addirittura leggere l’operazione Gomorra come uno spot, non certo voluto, ma sicuramente ben accettato nella sua gratuità, che i vari governi hanno colto al volo per dimostrare il proprio impegno contro le mafie.

Infine va evidenziato che cosa è accaduto nei due anni e mezzo che trascorrono tra l’uscita del libro e questa lettura che cerchiamo di darne oggi: in due anni Gomorra è diventato un film, in due anni Gomorra-Napoli è diventata la vergogna dell’Italian style nel mondo, in due anni Napoli-Gomorra è diventato un improbabile simbolo politico elettorale della fiction della rinascita italiana. In due anni, nel frattempo, Saviano è diventato simbolo in carne ed ossa dell’improbabile rivoluzione del singolo contro un Sistema sordo e uno Stato assente, (quando non si finge sordo). Ma soprattutto, in questi due anni il dogma della crescita senza se e senza ma, del consumare al di là delle proprie possibilità, del feticismo delle merci come sola religione del mondo, è rovinato contro il muro della crisi economica frutto di quella ambientale, perché le risorse, in un pianeta finito, non possono essere infinite. E perché la capacità di assorbimento delle risorse diventate scarti, in questo pianeta, è altrettanto finita.

Risulta forse troppo semplicistica l´argomentazione di Saviano secondo la quale la guerra di camorra contemporanea risponde bene alla logica pura del sistema economico: il boss deve soccombere a breve, perché la sua permanenza al potere ostacolerebbe l´ulteriore sviluppo dei commerci, farebbe lievitare i prezzi e bloccare la ricerca di nuovi affari, fino ad arrivare alla forzata equazione della guerra di camorra come fase suprema del liberismo.

Ora, è possibile ammettere una certa superficialità da parte di Saviano nel ridurre la complessità del sistema economico a humus grazie al quale le mafie possono prolificare; ma è pur vero che, se l’attuale crisi economica ha disvelato un aspetto della realtà attuale, è che il pericolo più grande oggi sia quello di persistere nell’errore di confermare il potere egemonico delle merci, dimenticandosi il prima (le materie prime che non sono infinite) e il dopo (i rifiuti e la capacità, pure questa non infinita, della terra di accogliergli). L’economia dovrebbe cioè tornare ad essere non più il fine, ma lo strumento grazie al quale gli uomini associati e organizzati possono ottimizzare e sfruttare le risorse disponibili senza eliminare la fonte delle loro risorse. Per cambiare gli approcci teleguidati al consumismo delle merci-feticcio anche i libri come Gomorra, che pure affrontano la questione in modo indiretto, possono contribuire ad aprire una riflessione che non può venire senza una forte mobilitazione mediatica.

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