[29/05/2006] Comunicati

Senza la contabilità ambientale anche lo sviluppo paga prezzi salati

LIVORNO. Come ricorda il programma dell’Onu sull’ambiente, «ciò che non può essere misurato non può essere governato». Sta tutto qui il nocciolo della contabilità ambientale. E’ inutile, se non ingannevole, continuare a parlare e sparlare di sostenibilità dello sviluppo se non viene utilizzata la strumentazione, disponibile ed adeguata, per misurarla.

E’ vero che la sostenibilità non è, né mai può essere, una certezza a priori (anche perché si riferisce a una potenzialità che esercita i suoi effetti nel futuro) ma ciò vale anche per l’economia classica (tant’è che le previsioni dei guru dell’economia vengono sistematicamente smentite dai consuntivi).

Ma mentre per l’economia il rozzo strumento del Pil viene adoperato, e perfino venerato, in modo sempre più circoscritto nel tempo e nello spazio, diversamente, per la sostenibilità, la strumentazione disponibile (resilienza, capacità di carico, impronta ecologica, Agenda 21, contabilità ambientale, bilanci ambientali…) viene sistematicamente ignorata.
Nel 2004 una risoluzione del Consiglio d´Europa, impegnava a diffondere a livello urbano e territoriale la contabilità ambientale, e in particolare il bilancio ambientale. Tutto scivolato via come acqua di fonte.

Oltre alla parola «sostenibile», gli aggettivi «nuovo», «moderno», «dinamico», «competitivo», «sistemico» e altri ancora vengono utilizzati da governanti e amministratori in quantità industriale, ma di adoperare contabilità e bilanci ambientali non si parla nemmeno.
Eppure non è obbligatorio essere conoscitori dell’economia ecologica per comprendere «a che serve una segheria se non esiste una foresta, un peschereccio se non esistono pesci, una raffineria se manca il petrolio o un villaggio turistico se manca l’acqua».
Eppure si continua a progettare, stimolare, sostenere, pianificare lo sviluppo locale ignorando per chi, per quanti, con quali e quante risorse farvi fronte e con quale capitale naturale a disposizione.

O la sostenibilità ambientale è concepita come agire concreto mantenendosi nei limiti delle capacità di carico degli ecosistemi che supportano noi e lo sviluppo economico, oppure il conto non lo pagherà solo l’ambiente: lo pagherà anche lo sviluppo. Anzi, bisogna essere ciechi per non vedere che lo sta già pagando. Che cos’è, se non il conto che già paga lo sviluppo, il cortocircuito fra diluvio di porticcioli e diluvio di euro a difesa dell’erosione delle coste? Che cosa sono gli strilli sul costo dei servizi di smaltimento dei rifiuti che strozzerebbero l’impresa turistica associati all’assenza di politiche e di pratiche di minimizzazione e riciclo? Che cos’è l’atrofizzarsi di intere aree destinate all’agricoltura di qualità per la continua dissipazione della risorsa acqua? E che cos’è, infine, l’incapacità di concretizzare l’avvio di filiere dell’industria del risanamento dove non manca né il capitale umano né quello finanziario?

Potremmo continuare. Francamente, in questo contesto, l’enfasi delle parole, «governo», «modernità», «competitività», «dinamismo» stanno ad indicare una vuota fraseologia. Ad effetto, si! Ma quale?

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