[19/06/2009] Rifiuti

Il cippato che alimenta una centrale elettrica non è rifiuto

LIVORNO. E’ fisiologico che la problematica dei rifiuti e quella delle biomasse si intersechino ed è fisiologico che nel sistema giuridico esistano più definizioni di biomasse dettate da diverse discipline (quali da una parte il Dlgs 152/06 e il Dlgs 387/03). Ma quando si parla di centrali elettriche a biomasse (e nello specifico di autorizzazione integrata per installarla) la definizione di riferimento è quella contenuta dalla disciplina relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili.

Lo afferma il Tribunale amministrativo del Piemonte (Tar) con una sentenza che si trova ad affrontare la questione: la provincia di Asti non accoglie la richiesta di autorizzazione a installare una centrale a biomasse alimentata in particolare con cippato di legno detannizzato privato di taino. Perché il cippato sottoposto a trattamento (un processo di estrazione del tannino), secondo l’ente provinciale (competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale) non rientra nella definizione di “biomasse combustibili” inserita nel Dlgs 152/06 (allegato X alla parte V). Dunque, l’ente archivia l’istanza, classifica il materiale come rifiuto e individua la biomassa combustibile come “materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di legno vergine e costituito da cortecce, segatura, trucioli, chips, refili e tondelli di legno vergine, granulati, cascami di sughero vergine, tondelli, non contaminati da inquinanti”.

Nel nostro ordinamento, però, accanto al decreto in questione ne esiste un altro (Dlgs 387/2003) quello che recepisce la direttiva comunitaria in materia di energie rinnovabili (n. 77/200/Cee).

Il decreto e la direttiva contengono una definizione ben precisa – e diversa da quella del Dlgs 152/06 - di biomassa: “la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”.

Nel dare la definizione di biomassa e nell’incentivare la produzione di energia da biomassa però, il legislatore europeo si preoccupa di fare salve le eventuali preesistenti e diverse definizioni di biomassa. Non a caso nel preambolo della direttiva europea la Comunità evidenzia la preoccupazione che la politica comunitaria di incentivazione della produzione energetica da biomasse non vanifichi l’altrettanto fondamentale politica comunitaria di “gestione” dei rifiuti.

Comunque sia, ne deriva che esistono diverse definizioni di biomassa per diverse discipline: una per la produzione di energia rinnovabile e una per i rifiuti. Per cui, ciò che in un determinato contesto è soltanto un “rifiuto”, in un altro può assumere il valore di fonte rinnovabile di energia. Diviene allora preliminarmente necessario comprendere a quale fine e in quale contesto la definizione di biomassa deve essere ricostruita, per poter procedere all’individuazione della giusta definizione.

Ecco perché il tribunale afferma che può essere inutile “tentare la ricostruzione di un’unica e universalmente valida definizione di biomassa, proprio perché tale tentativo si scontrerebbe con la molteplicità di definizioni prevista e tollerata dal sistema”.

Ora è evidente che, là dove si verta in tema di procedura autorizzatoria (prevista dall’art. 12 del d.lgs. 387/2003) per l’installazione di una centrale elettrica a biomasse, non potrà che definirsi la biomassa alla luce della definizione che si ricava direttamente dal decreto che recepisce ed attua la direttiva sulle fonti rinnovabili

“Perché è l’unica definizione presente nella legislazione italiana rilevante e al fine di stabilire cosa possa intendersi per biomassa nel contesto di disciplina afferente le fonti rinnovabili di energia”.


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