[18/06/2009] Comunicati

Usa, nel nuovo report lo stato dell´arte dell´analisi climatico-economica. E in Europa?

FIRENZE. «Regione per regione, settore per settore»: come visto ieri, questa è la caratteristica fondamentale del nuovo rapporto sul clima Usa, commissionato nel 2007 e pubblicato martedì scorso a seguito del lavoro di 13 diverse agenzie del governo statunitense, riunite nel U.S. Global Change Research Program.

“Global change impacts in the Usa”, infatti, oltre a riassumere lo stato dell’arte dell’analisi climatologica su scala globale, si distingue per la sua scrupolosa suddivisione, nel produrre previsioni climatiche a breve e lungo termine per il territorio statunitense, in zone geografiche e in settori produttivi. Il carattere di novità è dato non tanto dalla settorializzazione geografica-economica in sé (già presente, ad esempio, anche nello stesso 4° rapporto Ipcc), ma dal grado di dettaglio di essa.

Sono nove le diverse zone climatiche analizzate (sud-ovest, nord-ovest, sud-est, nord-est, grandi pianure, Midwest, Alaska, isole, zone costiere) e sette i settori: quelli più strettamente legati allo sviluppo del sistema produttivo (acqua, fornitura e uso di energia, trasporti, agricoltura) più la salute umana, la società, gli ecosistemi.

Le analisi contenute nel rapporto, comunque, non aggiungono niente di particolarmente nuovo a quanto già sappiamo: in sintesi, possiamo riportare che nelle previsioni le regioni più secche e calde (soprattutto nella parte occidentale e meridionale del paese, in primavera e in estate) diventeranno sempre più secche e calde, mentre le regioni già spiccatamente piovose (es. la costa nord-orientale) lo saranno ancora di più, soprattutto in inverno e in primavera, pur diventando più calde: meno neve e più pioggia (e più eventi estremi, e meno eventi “normali”) potranno quindi causare un maggiore scorrimento e a una minore ricarica delle falde.

La crescita dei mari potrà raggiungere «tre piedi durante le fasi peggiori delle tempeste», cioè circa un metro. La minore e meno prevedibile disponibilità idrica potrà comportare l’aumento di alcune malattie e aumentare i conflitti territoriali, e anche qui il sud e l’ovest del paese, oltre alla Florida, sono in prima linea. Le richieste per la fornitura di energia (in particolare energia per il condizionamento civile e commerciale, + 5-20% per ogni grado celsius di aumento a fronte di una riduzione del 3-15% della richiesta di energia per il riscaldamento) sono previste in aumento, e ovviamente sia la minor disponibilità idrica (si pensi alle centrali nucleari, ma in generale anche all’enorme necessità di acqua che caratterizza buona parte del comparto manufatturiero), sia gli eventi estremi e la crescita dei mari, con particolare focus sulle strutture di trasferimento dell’elettricità, influiranno pesantemente sulla disponibilità e sul costo dell’energia. A ciò si potrà aggiungere, tra le altre cose, una sempre maggiore difficoltà e un costo sempre più elevato per l’estrazione di petrolio e di gas dal golfo del Messico dove in alcune zone, a parte l’incidenza degli uragani, è prevista una crescita di «2-4 piedi» (0,6-1,2 m circa) dal 2050 al 2100 del livello marino, ben maggiore rispetto alla media.

Riguardo alle energie rinnovabili, tempi duri sono previsti soprattutto per l’idroelettrico, ma anche per il solare (specialmente fotovoltaico) e per l’eolico, a causa delle variazioni nei regimi della nuvolosità e dei venti: il primo effetto atteso, in questo senso, è una maggiore variabilità delle configurazioni, e quindi una minore predittibilità che si traduce in minori investimenti, e aumento dei costi.

Ma, ritornando agli aspetti più strettamente climatologici, è utile analizzare quanto visibile nell’immagine, dove sono poste a confronto a sinistra le stime per le precipitazioni e lo scorrimento superficiale prospettati per il futuro negli Usa, e a destra quelle contenute nel quarto rapporto Ipcc riferite al mondo nella sua globalità: ciò fa capire la clamorosa differenza del dettaglio raggiunto dallo studio appena pubblicato, rispetto ai precedenti.

Come si può pure evincere dall’immagine, peraltro, sono la California e il sud-ovest in generale ad affrontare i maggiori impatti previsti dal punto di vista della riduzione degli apporti precipitativi (dal 10 al 40% in meno al 2040-2060 rispetto alla media 1901-1970). Ciò è particolarmente inquietante se pensiamo al fatto che la California ha un clima sostanzialmente analogo a quello dell’Europa meridionale, per due motivi: anzitutto, come noto, in California (così come in altre regioni del mondo caratterizzate dalla presenza di un grande oceano a ovest: sud Europa, ma anche parti del Cile e dell’Australia) il clima è di tipo definito “mediterraneo”, come conferma la sostanziale analogia fenotipica tra la vegetazione (potenziale) presente sulle coste californiane e su quelle italiane.

Inoltre, così come l’Italia e il sud Europa, la California si trova poco a nord di quella «fascia secca presente intorno ai tropici» destinata a «espandersi verso i poli e anche a ricevere meno pioggia» in valore assoluto, come si legge nel rapporto stesso, se il surriscaldamento proseguirà.

Il Report sul clima usa (al quale purtroppo, per ora, non corrisponde nessun lavoro di pari valore scientifico - e livello di dettaglio - relativi alla situazione europea) è una miniera di dati, di grafici, di considerazioni di livello scientifico molto elevato, ma presentate con un linguaggio accessibile ad un pubblico medio. Dal punto di vista politico, è evidente che la sua attendibilità, e il grado di dettaglio che lo caratterizza, saranno molto utili all’amministrazione Obama nel suo obiettivo di presentarsi alla conferenza di Copenhagen di dicembre con in mano l’approvazione della proposta di legge sull’instaurazione di un meccanismo effettivo di “Cap and trade” per le emissioni climalteranti. La proposta di legge, presentata il 22 maggio alla camera dei deputati, potrebbe essere sottoposta a votazione già nel mese di agosto.

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