[18/06/2009] Comunicati

La lezione delle urne europee: il riformismo è ecologista o non è (4)

ROMA. Qualche cosa ha tenuto, pur nel tracollo del centro sinistra alle amministrative, ed è un prezioso segnale dalla società, che sarebbe drammaticamente inutile se prevalessero i miti dell’autoreferenzialità o dell’autosufficienza, che non hanno proprio nessun riscontro elettorale. O peggio ancora, per quel che riguarda il PD, prevalesse la ripresa dei coltelli col tormentone di un pezzo del PD a costituire il “centro” con l’UDC e l’altro che darebbe vita a un “sinistra”, spregiudicata nelle alleanze e che assomiglia tanto a quella che in Europa è stata pesantemente sconfitta. L’UDC è un partito dichiaratamente conservatore, filo nucleare e integralista. Bando, allora, ai giochi di real politik.

Restano nel campo l’Italia dei Valori, Sinistra e Libertà e Rifondazione, anche se oggi non sembra attuale che Rifondazione si voglia privare della sua conclamata identità, utile per un movimento millenarista, zavorra per chi voglia cambiare lo stato presente delle cose.

Vorrei che fosse chiaro che non li penso come alleanza elettorale, anche se nelle prossime elezioni regionali questo sarà il tema, ma come riferimenti di aree politiche, sociali e culturali. E’ in questo campo che si costruisce – del tutto inutile sottolineare le enormi difficoltà – il soggetto riformista, e non, come qualche giornalista ha suggerito nei dibattiti del dopo voto, guardando al “centro” per catturare periodicamente gli umori di un elettorato che si mostra in qualche modo sempre più “autonomo”, o liquido se vogliamo usare il termine di moda.

Insomma, una ripresa del progetto prodiano, oltre tutto l’unico ad aver avuto in tempi storici recenti un respiro internazionale, ma con più coraggio riformista e con un cuore per davvero “verde”.

Il cuore culturale, sociale ed economico di questo progetto è infatti la “rivoluzione verde”, quella che per vari aspetti e con enormi difficoltà sembra aver intrapreso Obama, che, messaggio di speranza di per sé stesso e emblema di una nuova cultura politica, muove verso una nuova società e una nuova economia e cerca di allargarsi a una nuova visione dei rapporti internazionali improntata a una molto maggiore capacità di ascolto e di condivisione.

Altre caratteristiche irrinunciabili per la “rivoluzione verde” italiana sono il ripristino della legalità, pubblica e privata, e della laicità dello stato, e la coesione sociale in un paese multietnico. La difesa dell’occupazione, delle nuove e diffuse forme di lavoro precario, dei settori sociali più deboli sono senz’altro un must, peraltro presente nella tradizione storica del movimento dei lavoratori e del cattolicesimo democratico, ma non fanno la differenza.

Superare anacronistiche rivendicazioni identitarie, funzionali a baronie di partito che lasciano spazio solo a chi ha sulla carne il marchio “appartengo a”, è l’altro difficile compito che ha di fronte la costruzione di una forza riformista. Come pure la sgradita consapevolezza che anche se l’attuale maggioranza implodesse per cause interne, questo non basterebbe a fornire un’alternativa per il paese.

Rimettere insieme i pezzi, dopo una pesante sconfitta elettorale che lascia però in piedi un’ampia base, mi sembra il compito di chi vuole dare senso a un’azione politica nell’interesse generale, del paese. Ma rimetterli insieme in una precisa prospettiva: lavorare perché le coordinate del progetto diventino finalmente quelle per cui ci battiamo da anni e cui alludevo negli schematici punti di queste riflessioni. Quelle coordinate che fanno dei Verdi in Europa l’unica cultura politica, per il momento, in grado di indicare il futuro. Se non si riparte da lì non ci potrà essere nessun riformismo adeguato alla società del XXI secolo.

(Fine)

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