[16/06/2009] Comunicati

Dai resti della socialdemocrazia sta nascendo il fiore dell´economia ecologica?

LIVORNO. Il momento più buio è quello che precede l’alba. Sarà così anche per l’economia ecologica? Vedremo, ma di certo sta accadendo qualcosa di molto interessante che stamani unisce con un file rouge il Sole24Ore e la Repubblica (ma anche Il Corriere della Sera nei giorni scorsi). Proprio nel bel mezzo di una crisi planetaria senza eguali - sia economica, sia ambientale - e pochi giorni dopo una tornata elettiva europea che sembrava aver spazzato via orizzonti di speranza di un mondo più sostenibile sotto i colpi dei nazionalismi ri-nascenti nel vecchio continente.

Lo stato comatoso della socialdemocrazia, infatti, ha lasciato macerie dalle quali o attorno alle quali o grazie alle quali è nato il successo, da noi già celebrato con un editoriale di Umberto Mazzantini alcuni giorni fa, degli ecologisti europeisti di Daniel Cohn-Bendit in Francia e dei Verdi che nelle grandi città tedesche stanno superando l’Spd.

Di quanto ha sostenuto Mario Monti sul Corriere della Sera abbiamo già dato conto ieri, di quello che ha aggiunto oggi Bastasin sul Sole, invece, ecco le parti salienti che spezzano un silenzio dello stesso autore sul tema che tante volte avevamo sottolineato in negativo pur all’interno di analisi economiche e politiche che invece condividevamo: «Cohn-Bendit ha interpretato la funzione redistributiva su scala generazionale (non consumare le risorse dei figli), come un beneficio per l’intera società e con l’ambizione di farla valere anche come ricetta per la crescita economica. Un progetto di riconversione ambientale dell’economia, in cui l’analisi è forse superata dall’ambizione, ma in grado di raccogliere perfettamente le due primarie istanze politiche – crescita e redistribuzione - in chiave non nazionale. Una ricetta significativamente condivisa da Barack Obama».

Ecco dove siamo ora e che opportunità abbiamo davanti, quella che da quando greenreport è nato aspettavamo: un nuovo presidente degli Stati Uniti che scommette su un nuovo paradigma economico fondato sulla sostenibilità ambientale e sociale che può trovare sponda in Europa dove sta ri-nascendo un progetto «di riconversione ambientale dell’economia (…) in grado di raccogliere perfettamente le due primarie istanze politiche – crescita e redistribuzione - in chiave non nazionale».

«A ben vedere – aggiunge Bastasin - i vincitori della competizione elettorale europea si distribuiscono non sull’asse destra-sinistra, ma su quello tra modelli aperti alla politica globale (sia con ambizioni verdi, sia con protezioni tradizionali) e modelli chiusi (xenofobi odi chiusura dei confini). La socialdemocrazia tradizionale sembra rimasta in mezzo a questa polarizzazione e non aver colto ancora un modello convincente di apertura alla società globale. Secondo Gramsci c’è crisi proprio quando il mondo vecchio è finito, ma non è ancora nato quello nuovo».

La sinistra non ha più scuse, l’analisi è bella e che fatta da tempo e l’occasione è propizia: o ora o mai. Anche Giorgio Ruffolo tiene alta la questione nel suo editoriale su Repubblica tacciando la socialdemocrazia di non essere stata «affatto antagonista del liberismo. Anzi ne ha solo praticato una versione ‘debol’: il blairismo». Non è certo una novità, però, che Ruffolo indichi “La riorganizzazione della produzione nel senso di una economia ecologicamente sostenibile” tra i dieci temi, che lui stesso definisce ‘ovvi’, «che mi sentirei di segnalare a una riflessione fondamentale sul destino della sinistra».

Ma purtroppo ancora una volta ci pare che sia Bastasin ad azzeccare l’analisi anche dallo stato delle cose: «Crescita, cambiamento, apertura, visione del futuro, sembrano in secondo piano nel linguaggio elettorale dei partiti socialisti dei maggiori paesi europei. Un’assenza di visione prospettica che va di pari passo con personalità dei loro leader che condividono un inquietante elemento iconografico: i loro volti sono spariti perfino dai manifesti delle pubblicità elettorali. Troppo complessa l’interpretazione sociale del mondo di oggi per non rimanere come fantasmi che hanno perduto quella giovanile ambizione di cambiare il mondo proprio quando sarebbe stato possibile, prima che le acque si richiudano sul nostro conveniente egoismo».

E’ tempo di ritrovare quell’ambizione per cambiare quel mondo, che non è nostro, e che ce noi occidentali lo stiamo consumando per di più a spese dei più poveri e disgraziati prima che le acque si chiudano definitivamente al nostro passaggio.

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